Continuiamo così, facciamoci del male


L’anno scorso il party di inaugurazione della mostra estiva del Forum austriaco di cultura era stato un tripudio di birra e wurstel. Quest’anno invece il buffet è stato molto spartano, in compenso l’alcol ha scorso a fiumi. Le sollecitazioni culinarie venivano da una bizzarra installazione posta in un angolo del giardino. Degli umidificatori ad ultrasuoni della Chicco diffondevano essenza di cioccolato fondente, ingrediente di copertura della mai troppo celebrata Sachertorte. Cattiveria delle cattiverie, della torta manco l’ombra…

Seggiolette e carampane


Lo scorso weekend sono stata in Maremma per l’inaugurazione di QuattroVenti, manifestazione che si propone di coniugare arte, territorio, tradizioni, gastronomia, artigianato e quant’altro.
Il tema di quest’anno è la “sedia” come simbolo di ospitalità. Manciano, Montemerano, Saturnia e molti altri comuni sono stati invasi da una serie di sculture a forma di seggiola. Tra sedie, troni, panchine e sedione (quasi tutte enormi) spiccava per ironia e sfrontatezza la sedia di plastica di Piero Golia, mezza affondata in un pesantissimo blocco di cemento. Il suo monumento sbilenco alla sedia di plastica da giardino mi è sembrata una soluzione molto più azzeccata di tante altre (come la scontata sedia israelo-palestinese di Jota Castro, per fare solo un esempio).
Solo un’altra notazione a proposito del suddetto weekend. A cena l’ultima sera siamo stati qua, all’Hotel Ristorante “Le terme di Saturnia”. Io un posto così kitsch e malinconico non l’ho mai visto. Con tanto di piano bar con carampane ingioiellate e galleria d’arte interna in cui si svolgevano (per passatempo) aste di preziosi e oggetti d’antiquariato. Così, come alternativa al tavolo di ramino.

Mr Hanky rules

Momento d’oro per la merda nell’arte contemporanea. Dopo quella storica in scatola del maestro Manzoni e quella d’elefante di Chris Ofili, e in attesa della Cloaca Turbo di Wim Delvoye (da novembre al Pecci di Prato), arriva quella di cavallo di Sislej Xhafa. Venerdi sera, proprio all’ora di cena, diciamo in zona aperitivo, la galleria più in della capitale (Magazzino d’arte moderna) era piena di escrementi equini. Tutto il jet set fuori in cortile, allontanato dalla puzza insopportabile. Nell’altra sala c’era un Garibaldi di terracotta alto si e no un metro e mezzo, con zollette di zucchero in mano. Forse il cavallo era diabetico (o leghista) e deve essere scappato lasciando un po’ di ricordini…

update: leggendo il testo di Teresa Macrì ho scoperto che il cavallo non è scappato. Trattasi di furto…

Facciamo un po’ come cazzo ci pare

Libertà, si sa, è una parola consunta e abusata. Tra i molti usi impropri l’ultimo trend sembra quello di appellarsi alla “libertà” per nascondere la mancanza di un’idea coerente, di un progetto, di un giudizio di valore, di un punto di vista.

Sono andata a vedere la mostra allestita al Palazzo delle Papesse di Siena. Nonostante il titolo e nonostante l’invito (una scheda elettorale gialla con lo stemma della banana di Warhol e la scritta “il 20 giugno vota il Palazzo delle Libertà”). La “mostra” non ha nè capo nè coda, gli artisti sono quasi tutti sbucati dal nulla (cosa hanno fatto? cosa legittima la loro presenza in un MUSEO PUBBLICO?), le opere brutte e mal allestite. Più un paio di chicche: due insulse installazioni di Aldo Nove e Giovanni Lindo Ferretti (spacciate per gran figate, nel segno della contaminazione e della multidisciplinarietà). E questa la dichiarazione di intenti:

“L’intento è quello di offrire un punto di vista multicentrico. Non vi sono restrizioni all’interno del Palazzo delle Libertà: né concettuali né espressive. […] Un anelito alla libertà dell’artista.”

Se ci fosse un pubblico più sveglio e coraggioso, ma soprattutto una critica più sincera e meno anestetizzata, queste persone sarebbero costrette a sentire la responsabilità di quello che fanno. L’arte non è tutta bella, tutta buona, tutta interessante, come sembrerebbe leggendo le riviste specializzate. Mai una stroncatura, raramente un giudizio, quasi sempre si sceglie la comoda via dell’astensione. (l’unica mostra che ci si sente autorizzati a stroncare è, non so perchè, la Biennale di Venezia)

Attenzione a non confondere “…l’arbitrarietà con la libertà, l’autoindulgenza con l’espressione”. (Hal Foster)

Art system-ati – La sindrome di Pecorino

Venerdi sera grande inaugurazione al MACRO: quattro-artisti-quattro. Nel cortilone spiccavano i “monumenti” di Tony Cragg, uno dei pochi artisti contemporanei che si possa ancora fregiare del titolo di scultore. Belle, belle, belle. Cragg è come la Roma, non si discute. La gente non resisteva alla tentazione di toccarle, queste enormi concrezioni plastiche, altre dieci carezze e si consumavano peggio del piede di San Pietro.

Una stanza era dedicata all’americana Cecily Brown, che per continuare con le metafore calcistiche “vince ma non convince”. Dipinge grandi tele a soggetto erotico (anzi pornografico) con uno stile che più che “espressionista” definirei “na caciara”. Dice la stessa cosa, anche se in maniera più elegante, il comunicato stampa: “Le opere della Brown hanno bisogno di tempi lunghi di lettura, poiché i temi sono sopraffatti dalla materia pittorica, noi possiamo cercare di liberarli, seguendo lo sciamare e il brulicare dei colpi di pennello e immergendoci nelle superfici densamente stratificate che sfruttano”

Poi c’era Simon Starling che ad occhio è croce è molto meglio di quello che sembra da questa mostriciattola. Infine, perla della serata, la performance di Sissi, che ha trascinato su e giù per il passaggio sopraelevato del museo (una specie di tunnel a vetri) un enorme groviera di gomma piuma rosa, nascondendosi all’interno.

E dalla groviera passiamo al pecorino, così giustifico il titolo del post e chiudiamo il cerchio. Il buffet era composto di grandi forme di pecorino romano e parmiggiano reggiano, un vero spettacolo. Tanto affascinante da confondere un americano che con nonchalance ci indica il pecorino e fa :”Is this… mozzarella?”

lista dei vipsss avvistati: Alessandro Haber (nella foto con Luigi Ontani), Lucrezia Lante della Rovere, Roberto Ciufoli della Premiata Ditta, Mimmo Paladino.

Art system-ati #2

Venerdi sera ha inaugurato la mostra di Francesco Carone da Isabella Brancolini a Firenze, trasformata per l’occasione in Green Gallery. Il piano terra della galleria era totalmente dipinto di un abbagliante verde acido, soffitto compreso. Poi un vespino verde, un teschio in resina verde, un boomerang verde… Al piano di sotto un bel video con protagonista Harry Houdini e tre lighbox. L’inaugurazione era affollata, nonostante la serata fosse piovosa e il Lungarno umido e impossibile da raggiungere per gli automobilisti. Abbiamo infatti scoperto che a Firenze si parcheggia solo se si è residenti…e se si va in un parcheggio a pagamento si spende tre euro l’ora…E io che mi lamentavo di Roma.

La cosa più divertente del vernissage (anzi del verDissage) era il buffet, fatto naturalmente di soli cibi verdi: olive, capperi, gelato al pistacchio, latte-e-menta (un tuffo nell’infanzia per quanto mi riguarda). Ho visto anche girare un improbabile cocktail fatto di menta e vodka, subito ribattezzato Tantum verde.

Sabato mattina sveglia alle 8 e partenza per il giro attraverso il Chianti di Tuscia Electa. Per vedere opere d’arte ambientale piazzate in boschi, prati e giardinetti, la giornata era davvero IDEALE. Diluviava. Quella che doveva essere un’allegra scampagnata si è trasformata in un mesto pellegrinaggio un po’ fantozziano in mezzo al fango. Interrotti ogni tanto da un bel buffet a base di pappa-al-pomodoro, salumi e pasticcini (ho abusato dei cannoli al cioccolato bianco fino ad avere allucinazioni). Per quanto riguarda le opere: una standing ovation personale per Cesare Pietroiusti che ha dimostrato che il concettualismo può evitare la trappola della freddezza e dell’autoreferenzialità. Ed essere divertente, intelligente, comunicativo. L’artista romano ha studiato dei luoghi non-monumentali con l’approccio scientifico e storiografico che si riserva alle opere d’arte e ai monumenti storici. Stazioni del bus, pompe di benzina, casotti dell’Anas, circoli di bocce. Poi ci ha fatto fare una divertente visita guidata con il pullman della Sita, ossia “la corriera”. Le sue schede sono anche inserite nell’orario ufficiale distribuito ai passeggeri. Intanto si attendeva l’annuncio del vincitore del premio Furla (o Burla, fate voi), un po’ come i risultati della partita: “Come sarà finito il Furla??” . Per mera cronaca, ha vinto Massimo Grimaldi.

Bilancio finale della giornata: mi sono infangata i pantaloni, l’opera più figa l’ho vista dal bus, ci hanno fregato i cataloghi, l’ombrello e anche i soldi. Senza parlare del riscatto di 34 euro pagato per ritirare la macchina dal parcheggio della stazione.

Per riprenderci siamo passati all’inaugurazione della galleria Continua a San Gimignano. Quelle si che sono feste, ragazzi. Verso mezzanotte l’ex-cinema si è trasformato in una discoteca, anche un po’ coattella. E tutti ci ricordiamo che tutto sommato è sabato sera. Anche per l’art system…

Art System-ati

blankIeri sera solito giro di inaugurazioni, ormai sempre più rituale, in particolare nel weekend. E più ci avviciniamo alla bella stagione (a Roma oggi è praticamente estate), più i vernissage si affollano, specie se le gallerie in questione sono nei vicoli di trastevere. Cominciamo dalla fighettissima galleria di Lorcan O’Neill, ex assistente del glorioso Antony D’Offay, che continua a proporre vetrine per facoltosi collezionisti. Dopo la tremebonda mostra di Richard Long (schizzi di fango del Tevere su tavole di legno) insiste nella tattica di proporre grandi nomi e poi esporre lavoretti da salotto. E anche la speranza di vedere qualche bel Jeff Wall va a farsi benedire. Però c’era un discreto vippaio: ho avvistato Margherita Boniver in versione museo delle cere e Valentina Cervi.

Tira su il morale la bella performance di Marcello Maloberti due vicoli più in là alla galleria SALES. Di performance se ne vedono poche in questi anni e quelle che si vedono sono in genere deprimenti (o in puro stile body o fluxus anni 70 oppure pretestuosamente alla ricerca di interattività con il pubblico). Maloberti ha messo in piedi un tableu vivant forte e coinvolgente. Bello anche il testo di Cerizza sul catalogo, una specie di raccontino sui suoi ricordi di bambino frequentatore di piscine comunali.

Lo spazio era affollatissimo e il gallerista sembrava però più scocciato che contento…è noto infatti che la Sales non manda inviti. Ma chi l’ha chiamati tutti questi, si sarà chiesto…E noi invece ci chiedevamo perchè non fa le mostre a casa sua, di nascosto, magari con entrata su parola d’ordine…