Would You Like Your Eggs A Little Different This Morning?

A Milano, presso la galleria Massimo De Carlo, è in corso la personale di Elmgreen & Dragset, duo di artisti scandinavi con base a Berlino. Protagonista del progetto un manichino-avatar in tre versioni: ricco, middle-class e squattrinato. Ma tutti gli Andrea Candela (questa l’identità del personaggio) sono collegati al mondo tramite reali apparecchiature tecnologiche: un computer in rete, un iPod, un cellulare. E sono titolari di abbonamenti del tram, tessere associative, profili nelle chat room.

Dagli autori del negozio di Prada nel deserto e della roulotte in gitarella nelle viscere della terra, una riflessione sull’identità nell’età contemporanea. Nel testo che accompagna il progetto si legge:

Sei un essere perfezionato in una società perfezionata. Post-umana. Post-sessuale. Post-individuale. Vedi i corpi perfetti nei giornali patinati e fissi le brutte facce consumate di quelli che piangono i morti in altre parti del mondo. Vuoi soddisfare i tuoi bisogni; hai bisogno di un paio di antidolorifici per alzarti; hai bisogno di musica alta e di qualcuno che ti desideri e che ti dica quanto sarà speciale questo giorno.

Stonefridge

Sono circa 8 anni che Adam Horowitz lavora al suo Stonefridge, utilizzando decine di frigoriferi usati. Il monumento (o forse sarebbe meglio dire l’anti-monumento) è a Santa Fe, nel Nuovo Messico. Un photo set di Flickr mostra però come l’opera, ancora non finita, sia in stato di degrado e soggetta a vandalismi. Qui c’è un articolo che racconta il progetto e qui una visione dall’alto di Googlesightseeing.

[via placebokatz]

Centrini

Ancora una volta, il ricamo. Che con discrezione, metodo e snobismo continua a dominare la scena dell’arte contemporanea internazionale. Ne avevamo già parlato qualche tempo fa. Stavolta segnalo il lavoro di Hildur Bjarnadottir. Soprattutto le sue inquietanti rivisitazioni dell’oggetto più demodè e malinconico che ci sia: il centrino…

[via winter sleep]

You are beautiful

Una grata, in un luogo qualsiasi. E una scritta fatta di tazze di plastica: You are beautiful. Che si trasforma con il passare dei giorni, e delle persone. Che muovono le tazze nella griglia come pixel su un display.

 

Giochi di percezione


Ieri sera ha aperto al MACRO di Roma la mostra di Leandro Elrich, giovane e promettente artista argentino.
Le opere? “Un ascensore che non sale e non scende, una piscina in cui non si può nuotare, uno specchio che non riflette, una tromba delle scale visibile solo frontalmente, luci che filtrano al di sotto di una porta che si apre invece su una stanza buia.”
Le ultime due citate sono visibili nella mostra romana, che vale una visita. Anche il sito web di Elrich è da visitare. Nonostante l’interfaccia non proprio furba e i vari caricamenti flash.

Il pulsante errato


Loro si chiamano Atrium Project (Riccardo Arena e Claudia Dallagiovanna). Realizzano video, installazioni e ceramiche. Queste ultime, in particolare sono geniali. Tutta da spulciare la galleria sul loro sito (fate attenzione ai titoli).

Nella foto: Premere qui per aprire un’immagine .jpg dell’ultimo uomo che rimarrà sulla terra, maiolica dipinta a mano, 10×10 cm

Sneakers tribali


Tornando alle cose viste a New York, vale la pena di segnalare i lavori del canadese Brian Jungen, esposti al New Museum. Due le opere che mi hanno colpito. Gli enormi scheletri di cetaceo fatti con le sedie di plastica (quelle da giardino proprio) e le maschere cerimoniali degli Indiani Dàne-Zaa costruite con le scarpe da ginnastica (Nike Air Jordan, nello specifico). Una strana commistione, specie in queste ultime, tra cultura pop e antichi rituali…

Città in valigia


L’artista cinese Yin Xiuzhen è l’autrice di Portable Cities. L’opera è composta da 6 valigie contenenti i modelli in miniatura di altrettante città. Palazzi, strade e ponti sono fatti con vecchi vestiti e altri materiali riciclati trovati dall’artista per le strade di ognuno dei centri urbani rappresentati.
Nella valigia di New York City, che risale al 2003, ci sono due bellissime torri gemelle trasparenti fatte in un materiale che sembra organza.

[via greg.org]

Shivavespa


Lui si chiama Mark Hosking ed è inglese. Nelle sue opere semplici oggetti d’uso quotidiano si trasformano completamente, diventando bizzarri macchinari che servono scopi non propriamente utili. Oppure trasfigurandosi in altri oggetti, con nuove, imprevedibili funzioni.
La sua opera più famosa si chiama Shivavespa (foto). La raggiera di specchietti retrovisori serve da pannello solare per produrre calore diretto ad una pentola. Diventando così una macchina per cucinare. In Airbag-Growbag invece, un airbag esploso in un incidente d’auto diventa un vaso per una pianta di limoni…

Una boutique nel deserto


Michael Elmgreen e Ingar Dragset sono una coppia di artisti scandinavi residenti a Berlino. Le loro installazioni sono visioni materializzate. In Italia li avevamo visti nel 2003, quando avevano fatto sbucare dal pavimento della Galleria Vittorio Emanuele a Milano, come uscita da una galleria turistica sotterranea, una macchina (la Uno bianca) con tanto di roulotte al seguito.
Una decina di giorni fa, invece, hanno fatto comparire, come portato da un tornado, un negozietto Prada in mezzo al deserto del Texas. Sembra in tutto e per tutto una boutique, solo che non ha nessuna porta d’ingresso. Una sorta di scatola del desiderio che non si può aprire. Non solo, la cosa interessante è che non è prevista, in futuro, nessuna opera di sorveglianza o manutenzione della “scultura”, che quindi subirà le intemperie, il tempo e i probabili atti di vandalismo. Diventando una specie di rudere dell’epoca della fashion-addiction.

articolo di artforum
articolo del nytimes (iscrizione richiesta)

L’invasione dei conigli rosa


A Napoli, i Coniglioviola hanno costruito un grande roditore rosa gonfiabile in cui amoreggiare (e fare vjing). Nel frattempo, in Piemonte, ad Artesina, i Gelatin hanno piazzato (già dall’8 di settembre) un gigantesco coniglio rosa di pezza sopra a Colletto Fava. Per farci sentire un po’ lillipuziani. Il Pink Rabbit resterà lì fino al 2025, chissà di che colore sarà diventato per allora…

“attraversando paesaggi si trovano parecchie cose.
delle cose che si conoscono o qualcosa del tutto sconosciuto.
un fiore che non si è mai visto, un buco nel suolo o qualcosa di inesplicabile, tutto come cristoforo colombo un intero continente.
e poi dietro di una tale collina si trova all’improvviso un coniglio lavorato a maglia da una dozzina di nonne.”

[via wmmna / random]

L’isola che non c’era


Robert Smithson è l’artefice di alcune tra le più affascinanti opere di Land Art del secolo. Robert Smithson è famoso soprattutto per la sua Spiral Jetty. Come i pittori, che ogni tanto devono allontanarsi dalla tela per guardare il risultato d’insieme, anche Smithson sentiva la necessità di guardare le sue opere dalla giusta distanza. Solo che nel suo caso bisognava allontanarsi molto di più. Era necessario volare alto. E così, Robert Smithson è morto nel 1973 (a soli 35 anni) in un incidente aereo mentre sorvolava il deserto del Texas. A più di trent’anni dalla sua scomparsa, a New York si realizza finalmente uno dei suoi ultimi progetti: un’isola galleggiante che naviga attorno a Manhattan. Il NYTimes ha pubblicato un bellissimo speciale, con foto, video e una raccolta di articoli vecchi e nuovi sull’artista.

p.s. se avete problemi con la registrazione obbligatoria per leggere il NYT o altri siti, provate ad usare Bugmenot

Lo squalo 2


Lo squalo di cinque metri immerso in una vasca di formalina Damien Hirst l’aveva chiamato “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living” (1991). Con un titolo che non lasciava dubbi sul tema dell’opera. All’ultima Biennale di Praga David Cerny fa del facile sensazionalismo mettendo Saddamm Hussein sotto conserva allo stesso modo. E lo intitola “Shark“. Io come parodia preferivo quella fatta con i Lego.

Fai come se fossi a casa tua


Un interessante articolo di Adrian Searle pubblicato sul Guardian commenta l’ultima mostra di Rirkrit Tiravanija a Londra. Dopo aver cucinato zuppe, costruito sale da thè e spazi ricreativi, l’artista thailandese ricostruisce il suo appartamento di New York all’interno della Serpentine Gallery. Tutto, fino nei dettagli. I visitatori possono rilassarsi sul divano, cucinare qualcosa, usare il bagno. Fa tornare in mente l’artista conviviale, buffa definizione che Antoine Prum ha di recente affibbiato agli artisti relazionali (corrente effettivamente bene rappresentata da Tiravanija).

Mentre si chiede se la voglia di coinvolgere il pubblico non sia diventata una consuetudine irritante e di maniera, Searle stila un sintetico ma efficace compendio dei tentativi di trasformare la vita in arte (e viceversa?):

Artists have walked for art, slept for art, made love and, in the case of one Austrian Aktionist, allegedly cut off his penis for art. The audience too has been invited to participate in often silly ways. We’ve stripped for art, worn stupid costumes for art, moved a mountain with a shovel for art (this last being a beautiful work by Francis Alÿs), been bored to tears, if not to death, for art and by art.

Amen.

Cose ciccie


In un mondo ossessionato dal peso (corporeo, fisiologico, morale, finto, vero e presunto), in continua oscillazione tra leggerezze iperfluttuanti, pensieri anoressici e bulimie informative, gli artisti non potevano stare a guardare. Dopo le case e le macchine ciccione di Erwin Wurm, simpatiche e inquietanti allo stesso tempo (pensate che la macchina obesa PARLA!), arriva la sedia antropomorfa oversize dei designer olandesi Janneke Hooymans and Frank Tjepkema. Con tanto di tatuaggione.

[via popgadget]