Cybereggs e altre storie


Cena memorabile sabato scorso al Combal.Zero di Rivoli. Più che una cena, in realtà, una performance visivo-gustativa-spettacolare. Al timone lo chef Davide Scabin. Impossibile raccontare le numerosissime sorprese, i sapori, gli odori, gli accostamenti e le invenzioni del “menu creativo”. Un’ora e mezza di stordimento puro. Che arriva a decostruire i piatti e i sapori, ma anche l’atto stesso del mangiare.
Se volete un resoconto dettagliato lo trovate qui; io vi segnalo il piatto più famoso di Scabin, perfetto nell’unione forma-gusto: le cybereggs. Uova di plastica da incidere con il bisturi (ma a tavola arriva anche un martello durante la serata) e succhiare voluttuosamente. All’interno, uovo crudo e caviale.
Gli altri piatti? Zuppizza, Harry Potter, Piolakit, Hambook, Ostrica virtuale…
Qui un articolo con gallery sulla cybercucina.

Animaleschi…


E’ in corso al MassMoca (Massachusetts Museum of Contemporary Art) una mostra sul rapporto tra arte contemporanea e regno animale: Becoming Animal: Contemporary Art in the Animal Kingdom (attenzione, il sito è in flash ed è annidato dentro questa lista di mostre, al 5° posto). Una parata di visioni inquietanti: ibridi uomo-animale, esseri transgenici, congegni tecnologici per facilitare il dialogo tra specie, carte da parati sovversive.
Tra tutti, segnalo Jane Alexander, Natalie Jeremijenko, Motohiko Odani (foto) e naturalmente, l’immensa Patricia Piccinini.

Musicista in forma di pera


Durante le ferie sono stata ad Honfleur, delizioso porticciolo della Normandia, famoso, tra le altre cose, per aver ospitato diversi impressionisti (tra cui Eugene Bodin, che vi abitava stabilmente). Meno nota la presenza nella cittadina della casa di Erik Satie. La sua abitazione è stata trasformata, da qualche anno a questa parte, in una sorta di museo multimediale a lui dedicato. A parte qualche dettaglio da Luna Park di periferia, presenta alcune soluzioni molto suggestive, come il piano che “suona da solo” nella candida stanza all’ultimo piano dell’edificio.
Ma la cosa più buffa si trova proprio all’entrata, dove il visitatore viene accolto da un’enorme pera volante, che sbatte le ali sulle note di Gymnopedie. Nel 1903, il geniale musicista francese aveva infatti composto “I tre pezzi in forma di pera”. Sul depliant del museo dicono che simboleggi la sua anima che si libra verso il cielo dopo la sua morte.

Fai come se fossi a casa tua


Un interessante articolo di Adrian Searle pubblicato sul Guardian commenta l’ultima mostra di Rirkrit Tiravanija a Londra. Dopo aver cucinato zuppe, costruito sale da thè e spazi ricreativi, l’artista thailandese ricostruisce il suo appartamento di New York all’interno della Serpentine Gallery. Tutto, fino nei dettagli. I visitatori possono rilassarsi sul divano, cucinare qualcosa, usare il bagno. Fa tornare in mente l’artista conviviale, buffa definizione che Antoine Prum ha di recente affibbiato agli artisti relazionali (corrente effettivamente bene rappresentata da Tiravanija).

Mentre si chiede se la voglia di coinvolgere il pubblico non sia diventata una consuetudine irritante e di maniera, Searle stila un sintetico ma efficace compendio dei tentativi di trasformare la vita in arte (e viceversa?):

Artists have walked for art, slept for art, made love and, in the case of one Austrian Aktionist, allegedly cut off his penis for art. The audience too has been invited to participate in often silly ways. We’ve stripped for art, worn stupid costumes for art, moved a mountain with a shovel for art (this last being a beautiful work by Francis Alÿs), been bored to tears, if not to death, for art and by art.

Amen.

Un animalista…a modo suo…

Un amante degli animali un po’ atipico, Damien Hirst. Famoso per le sue provocatorie opere con squali, mucche e pecore sezionate e immerse in soluzioni varie, l’artista inglese riconferma una singolare passione per gli animali…morti.

E’ di ieri la notizia (fonte il Telegraph) del suo tentativo di acquistare l’intero patrimonio del Mr Potter’s Museum of Curiosities, una bizzarra collezioni di animali impagliati di epoca vittoriana, alcuni disposti a formare curiosi tableaux (vedi foto), per evitare che fosse smembrata da un’asta iniziata ieri. Nonostante la cospicua offerta (1 milione di sterline), il tentativo è fallito e Hirst è rimasto molto deluso. Aveva infatti espresso la volontà di riaprire il museo, aggiungendo alla collezione le sue stesse opere.

Facciamo un po’ come cazzo ci pare

Libertà, si sa, è una parola consunta e abusata. Tra i molti usi impropri l’ultimo trend sembra quello di appellarsi alla “libertà” per nascondere la mancanza di un’idea coerente, di un progetto, di un giudizio di valore, di un punto di vista.

Sono andata a vedere la mostra allestita al Palazzo delle Papesse di Siena. Nonostante il titolo e nonostante l’invito (una scheda elettorale gialla con lo stemma della banana di Warhol e la scritta “il 20 giugno vota il Palazzo delle Libertà”). La “mostra” non ha nè capo nè coda, gli artisti sono quasi tutti sbucati dal nulla (cosa hanno fatto? cosa legittima la loro presenza in un MUSEO PUBBLICO?), le opere brutte e mal allestite. Più un paio di chicche: due insulse installazioni di Aldo Nove e Giovanni Lindo Ferretti (spacciate per gran figate, nel segno della contaminazione e della multidisciplinarietà). E questa la dichiarazione di intenti:

“L’intento è quello di offrire un punto di vista multicentrico. Non vi sono restrizioni all’interno del Palazzo delle Libertà: né concettuali né espressive. […] Un anelito alla libertà dell’artista.”

Se ci fosse un pubblico più sveglio e coraggioso, ma soprattutto una critica più sincera e meno anestetizzata, queste persone sarebbero costrette a sentire la responsabilità di quello che fanno. L’arte non è tutta bella, tutta buona, tutta interessante, come sembrerebbe leggendo le riviste specializzate. Mai una stroncatura, raramente un giudizio, quasi sempre si sceglie la comoda via dell’astensione. (l’unica mostra che ci si sente autorizzati a stroncare è, non so perchè, la Biennale di Venezia)

Attenzione a non confondere “…l’arbitrarietà con la libertà, l’autoindulgenza con l’espressione”. (Hal Foster)