Learning to Love PowerPoint

Un articolo che ho letto tempo fa su Wired definiva Power Point il male assoluto. Un po’ esagerato, ma con qualche verità, tutto sommato. Oggi scopro che David Byrne sta per pubblicare un libro e un dvd in cui raccoglie opere fatte con il coattissimo programma Microsoft. In questo articolo spiega anche come ha imparato ad “amare Power Point”. E mi sembra che i risultati siano molto interessanti. Un’altra conferma che il medium non è il messaggio? Oppure che il messaggio trasforma il medium? Oppure è solo ora che me ne vada a letto?

Ogni tanto riemerge

La Spiral Jetty è di proprietà del Diacenter for Arts di New York, ma se ne sta sul fondo del Grande Lago Salato dello Utah. E’ fatta di roccia nera, cristalli di sale e terra. E’ lunga 450 m e larga 4,50 m. E’ lì dal 1970. Quando Robert Smithson ce la piazzò. Da allora, ogni tanto riemerge. Quando l’acqua del lago è più bassa, in genere tra ottobre e novembre. Non so se ci andrò mai, ma la mappa per raggiungerla me la sono salvata…

Facciamo un po’ come cazzo ci pare

Libertà, si sa, è una parola consunta e abusata. Tra i molti usi impropri l’ultimo trend sembra quello di appellarsi alla “libertà” per nascondere la mancanza di un’idea coerente, di un progetto, di un giudizio di valore, di un punto di vista.

Sono andata a vedere la mostra allestita al Palazzo delle Papesse di Siena. Nonostante il titolo e nonostante l’invito (una scheda elettorale gialla con lo stemma della banana di Warhol e la scritta “il 20 giugno vota il Palazzo delle Libertà”). La “mostra” non ha nè capo nè coda, gli artisti sono quasi tutti sbucati dal nulla (cosa hanno fatto? cosa legittima la loro presenza in un MUSEO PUBBLICO?), le opere brutte e mal allestite. Più un paio di chicche: due insulse installazioni di Aldo Nove e Giovanni Lindo Ferretti (spacciate per gran figate, nel segno della contaminazione e della multidisciplinarietà). E questa la dichiarazione di intenti:

“L’intento è quello di offrire un punto di vista multicentrico. Non vi sono restrizioni all’interno del Palazzo delle Libertà: né concettuali né espressive. […] Un anelito alla libertà dell’artista.”

Se ci fosse un pubblico più sveglio e coraggioso, ma soprattutto una critica più sincera e meno anestetizzata, queste persone sarebbero costrette a sentire la responsabilità di quello che fanno. L’arte non è tutta bella, tutta buona, tutta interessante, come sembrerebbe leggendo le riviste specializzate. Mai una stroncatura, raramente un giudizio, quasi sempre si sceglie la comoda via dell’astensione. (l’unica mostra che ci si sente autorizzati a stroncare è, non so perchè, la Biennale di Venezia)

Attenzione a non confondere “…l’arbitrarietà con la libertà, l’autoindulgenza con l’espressione”. (Hal Foster)

Fraintendimenti

Guardavo un documentario sull’Est europeo su Rai Uno stamattina e c’era una parte su Andy Warhol. Intervistavano un suo cugino cecoslovacco. Il signor Varhola raccontava: “Mia zia ci scrisse che in America Andy faceva il pittore, ma noi abbiamo sempre pensato che fosse imbianchino”.

Most Art Sucks!

Mi ci sono imbattuta per caso un po’ di tempo fa e l’ho subito amata. Si tratta di Coagula, la rivista d’arte più politically scorrect del pianeta. Hanno pubblicato anche una raccolta delle loro chicche più velenose in un libro che si chiama Most Art Sucks. Ne trovate degli estratti in italiano qui.

Assolutamente mitiche le istant-biographies:

Andy Warhol

Lui vive con la mamma, va alle feste dei drogatelli, gli sparano.

Robert Rauschenberg

Lui fa l’artista, si ubriaca, vive di rendita.

Art system-ati – La sindrome di Pecorino

Venerdi sera grande inaugurazione al MACRO: quattro-artisti-quattro. Nel cortilone spiccavano i “monumenti” di Tony Cragg, uno dei pochi artisti contemporanei che si possa ancora fregiare del titolo di scultore. Belle, belle, belle. Cragg è come la Roma, non si discute. La gente non resisteva alla tentazione di toccarle, queste enormi concrezioni plastiche, altre dieci carezze e si consumavano peggio del piede di San Pietro.

Una stanza era dedicata all’americana Cecily Brown, che per continuare con le metafore calcistiche “vince ma non convince”. Dipinge grandi tele a soggetto erotico (anzi pornografico) con uno stile che più che “espressionista” definirei “na caciara”. Dice la stessa cosa, anche se in maniera più elegante, il comunicato stampa: “Le opere della Brown hanno bisogno di tempi lunghi di lettura, poiché i temi sono sopraffatti dalla materia pittorica, noi possiamo cercare di liberarli, seguendo lo sciamare e il brulicare dei colpi di pennello e immergendoci nelle superfici densamente stratificate che sfruttano”

Poi c’era Simon Starling che ad occhio è croce è molto meglio di quello che sembra da questa mostriciattola. Infine, perla della serata, la performance di Sissi, che ha trascinato su e giù per il passaggio sopraelevato del museo (una specie di tunnel a vetri) un enorme groviera di gomma piuma rosa, nascondendosi all’interno.

E dalla groviera passiamo al pecorino, così giustifico il titolo del post e chiudiamo il cerchio. Il buffet era composto di grandi forme di pecorino romano e parmiggiano reggiano, un vero spettacolo. Tanto affascinante da confondere un americano che con nonchalance ci indica il pecorino e fa :”Is this… mozzarella?”

lista dei vipsss avvistati: Alessandro Haber (nella foto con Luigi Ontani), Lucrezia Lante della Rovere, Roberto Ciufoli della Premiata Ditta, Mimmo Paladino.

Il sabato sera culturale di Teleambiente

C’è una rete televisiva coraggiosa in Italia, che se ne infischia dell’audience e punta sulla cultura? Io ora so che c’è. E’ Teleambiente . La rete laziale dedica tutto il suo sabato sera agli approfondimenti culturali. Sabato scorso ha mandato in onda nell’ordine: intervista a Toni Negri sui temi affrontati nel suo libro Impero; Colori – Arte Contemporanea, trasmissione dedicata a mostre, artisti e musei e infine il programma di utilità sociale L’investigatore, in cui un tizio vestito alla Dick Tracy va in giro per le periferie romane a raccogliere testimonianze su casi umani, disavventure burocratiche, degradi vari.

Il problema però è che, nell’intento (forse) di fare una tv anche formalmente e linguisticamente alternativa, specie nella trasmissione “Colori”, la produzione si adopera in: inquadrature da mal di mare, carrellate a schiaffo, improbabili zoom, audio montato fuori sincrono e montaggi alla Blob. Raggiungendo picchi di trash assolutamente sublimi.

Ah, dimenticavo. Toni Negri, che tra le altre cose aveva lo sguardo di Moro nella foto delle Brigate Rosse e la verve di Boy George a Sanremo nel 1985 quando salì sul palco imbottito di eroina, l’hanno intervistato in cucina! Un’atmosfera informale, non c’è che dire…

Absolute? There’s a party!

L’estate porta aria di festa nella capitale. L’estate romana comincia presto e finisce il più tardi possibile. E allora via con occhiali da sole, calzoncini, sandali infradito e feste in terrazza. Se poi la terrazza è sul Pincio, il panorama è mozzafiato, la vodka è gratis…si andrebbe anche alla festa di compleanno di una prozia ottantenne, all’anniversario della fondazione della Benemerita, ad una canasta tra vecchi aristocratici. Io ho iniziato, un paio di sere fa, con il party della vodka Absolute a Villa Medici. E mentre mi godevo la frutta e i sorbetti multicolore del buffet, mi è tornata in mente la vera, unica e inimitabile collezione di opere d’arte dedicate alla famosa vodka. Sembra preistoria ma era solo il 1998. Ladies and gentlemen: Absolute Net.art. E nessuno gliel’aveva commissionate…

Una vacanza di lavoro massacrante

Una proposta allettante dalla newsletter di Flash Art:

“Chi vuole venire a trascorrere una bellissima vacanza di lavoro a Praga? Qualcuno di voi, che sappia e voglia usare il trapano, che sappia attaccare alle pareti quadri e fotografie, sollevare sculture, ma soprattutto che sappia far funzionare proiettori VHS e DVD e parli inglese, e voglia trascorrere una indimenticabile settimana di lavoro massacrante con artisti e curatori a Praga, ci contatti. Si tratta ovviamente di un lavoro basato sul volontariato e sul desiderio di fare una preziosa esperienza curatoriale, una specie di stage full immersion. Purtroppo, chiunque si proporrà dovrà provvedere in modo autonomo a se stesso: trasporto, alloggio, ecc”

Mi(la)nority report

Finalmente riesco a scrivere qualcosa. Gli ultimi giorni sono stati lavorativamente asfissianti. Roba da non non riuscire nemmeno a infilarsi il pigiama la sera. Avrei voluto raccontare la trasferta a Milano in diretta, ma trovare computer collegati era una vera mission impossible. Visto che fare una cronaca dettagliata ex-post richiederebbe almeno 10 pagine, cerco di essere sbrigativa e faccio un report schematico:

Vips all’inaugurazione: Filippa Lagerback (con pancione), Martina Colombari (bella da far impressione), Billy Costacurta (messo in ombra dalla consorte, ma sembra che sia lui il collezionista d’arte), Giacomo di aldogiovanniegiacomo (più basso di quanto potreste mai immaginare), Maurizio Cattelan (in forma smagliante), Antonella Boralevi (un po’ sbattuta, per la verità)

Cibo trangugiato ai buffet: tartine alle melanzane,tartine al prosciutto, cous cous, parmiggiano reggiano, prosciutto, salame, torte varie.

Pernottamenti: un delizioso Bed&Breakfast in zona Loreto e un trestellenormale a Piacenza.

Furti: come ogni anno c’è sempre qualcuno che si inguatta qualcosa, così per il gusto di sgraffignare. Hanno rubato degli asciugamani di Francesco Carone (forse il loro trestelle non glieli forniva) e un pallone da calcio di Fausto Gilberti (si annoiavano, poverini, mica hanno tutti i torti…)

Il Vip Lounge: c’era una specie di salottino riservato ai vips. Noi abbiamo tentato di entrare con la tessera PRESS, curiosi di vedere cosa succede in un vipplaunggge. Ma la signorina all’ingresso, addolorata, ci ha fatto notare che PRESS non equivale a VIPPS e che non avevamo la tessera in oro zecchino necessaria per accedere. La cosa buffa è che tutte le volte che sono passata di fronte a suddetto salottino (e ci passavo spesso perchè era di fronte al Bar Illy, che dava caffèaggratis) l’ho visto tristemente deserto…

L’Ufficio Stampa: menzione speciale all’addetta stampa all’ingresso. Mi ha fatto sentire come in Caro Diario quando scendono a Panarea e vengono accolti dalla Pierre bionda con l’erremoscia. Era identica…forse era proprio lei.

Il ristorante Inca-Maya-Perù: venerdi sera siamo capitati in una specie di tavola calda andina. Piatti a base di uova, patate e spezie non meglio idenificate, tovaglie rosse di plastica, murales ipercolorato e versione messicana di “Se mi lasci non vale”… Un’esperienza indimenticabile. Ho anche scoperto (sic!) che il loro dolce tipico è un creme caramel gigante!

La parola al critico: tutti mi chiedono “com’era la fiera?”. E come vuoi che sia, è sempre una fiera. Quindi cose belle e cose brutte. Qui accanto pubblico la foto di un quadro che mi ha colpito (nel senso che mi ha proprio dato un cazzotto in un occhio). Poi, fate voi…:-)

Covering’em: sabato sera siamo andati alla mostra Cover Theory, curata da Marco Senaldi e allestita in una centrale elettrica a Piacenza. Il posto era a dir poco incredibile e la mostra molto interessante, nonostante il fascino dell’edificio e dei macchinari offuscasse un po’ il resto. Dal reading di Tiziano Scarpa vi copio questa cover.

Smells like teen Spirit, Nirvana

Sono un ragazzo di cinquant’un anni,

Vivo con la mamma e il mio papà.

Ho molti libri editi da Vanni

Scheiwiller. Io, poeta di città.

Sono disoccupato, laureato

In storia dell’economia politica.

Stimo Raboni, destesto Battiato.

Di Pindaro amo la 2º Pitica…

… Per un sonetto su Sant’Agostino

Ho due bypass. Vivo con la pensione

Di mio papà. Possiedo un motorino.

Odore di plastica

Finalmente ho trovato una sala stampa con un collegamento a Internet. Sono dovuta entrare a Plast, la fiera della plastica. Perchè a Miart di un computer collegato manco l’ombra. I macchinari per la produzione di materie plastiche sono uno spettacolo, comunque. Miart è semideserta, fuori piove e il cellulare continua a squillare. Ora lo spengo e vado a prendermi l’ennesimo caffè al bar Illy.

Destinazione Miart

Domani comincia Miart. E naturalmente si parte in pellegrinaggio alla volta di Milano, dove ci aspettano i soliti tre giorni full immersion in gioie e miserie dell’art-system italiano. Alle fiere in genere si vede poco, si mangia molto, si prendono un sacco di caffè e se si dorme è per puro caso. Ma la cosa più divertente è che c’è sempre qualcuno che si sente male e…vomita. Negli ultimi due anni è successo puntualmente ad ogni fiera: a Bologna, a Milano, a Torino. Spero che stavolta non tocchi a me. Saranno i buffet delle inaugurazioni o i pessimi vini raccattati qua e là e trangugiati per dimenticare la vista di opere agghiaccianti. Cercherò di aggiornare il blog il più possibile, ci sono sempre simpatici aneddoti da raccontare, pettegolezzi da divulgare, sorprese da condividere, idiozie per cui indignarsi.

Roma, esterno notte

blankRoma, Via dei Fori Imperiali, quasi mezzanotte. Camminiamo godendoci una temperatura finalmente primaverile. Decidiamo di proseguire fino all’installazione che Mario Merz ha realizzato nei fori. Il bagliore blu della spirale di neon si vede da lontano. Tre persone sono affacciate alla balaustra. Sono Mario Merz, Marisa Merz e Laura Cherubini. Ci avviciniamo, parliamo un po’, la spirale ci ipnotizza. Lo sguardo di Marisa Merz è qualcosa che non posso raccontare, ha un’energia soprannaturale. Mi sento imbarazzata anche a parlare del più e del meno. Ad un tratto, di punto in bianco mi chiede : “Ma tu sei felice?” Farfuglio qualcosa, dico banalità, sfuggo il suo sguardo. “Sono contenta di averla conosciuta” le dico.

Art system-ati #2

Venerdi sera ha inaugurato la mostra di Francesco Carone da Isabella Brancolini a Firenze, trasformata per l’occasione in Green Gallery. Il piano terra della galleria era totalmente dipinto di un abbagliante verde acido, soffitto compreso. Poi un vespino verde, un teschio in resina verde, un boomerang verde… Al piano di sotto un bel video con protagonista Harry Houdini e tre lighbox. L’inaugurazione era affollata, nonostante la serata fosse piovosa e il Lungarno umido e impossibile da raggiungere per gli automobilisti. Abbiamo infatti scoperto che a Firenze si parcheggia solo se si è residenti…e se si va in un parcheggio a pagamento si spende tre euro l’ora…E io che mi lamentavo di Roma.

La cosa più divertente del vernissage (anzi del verDissage) era il buffet, fatto naturalmente di soli cibi verdi: olive, capperi, gelato al pistacchio, latte-e-menta (un tuffo nell’infanzia per quanto mi riguarda). Ho visto anche girare un improbabile cocktail fatto di menta e vodka, subito ribattezzato Tantum verde.

Sabato mattina sveglia alle 8 e partenza per il giro attraverso il Chianti di Tuscia Electa. Per vedere opere d’arte ambientale piazzate in boschi, prati e giardinetti, la giornata era davvero IDEALE. Diluviava. Quella che doveva essere un’allegra scampagnata si è trasformata in un mesto pellegrinaggio un po’ fantozziano in mezzo al fango. Interrotti ogni tanto da un bel buffet a base di pappa-al-pomodoro, salumi e pasticcini (ho abusato dei cannoli al cioccolato bianco fino ad avere allucinazioni). Per quanto riguarda le opere: una standing ovation personale per Cesare Pietroiusti che ha dimostrato che il concettualismo può evitare la trappola della freddezza e dell’autoreferenzialità. Ed essere divertente, intelligente, comunicativo. L’artista romano ha studiato dei luoghi non-monumentali con l’approccio scientifico e storiografico che si riserva alle opere d’arte e ai monumenti storici. Stazioni del bus, pompe di benzina, casotti dell’Anas, circoli di bocce. Poi ci ha fatto fare una divertente visita guidata con il pullman della Sita, ossia “la corriera”. Le sue schede sono anche inserite nell’orario ufficiale distribuito ai passeggeri. Intanto si attendeva l’annuncio del vincitore del premio Furla (o Burla, fate voi), un po’ come i risultati della partita: “Come sarà finito il Furla??” . Per mera cronaca, ha vinto Massimo Grimaldi.

Bilancio finale della giornata: mi sono infangata i pantaloni, l’opera più figa l’ho vista dal bus, ci hanno fregato i cataloghi, l’ombrello e anche i soldi. Senza parlare del riscatto di 34 euro pagato per ritirare la macchina dal parcheggio della stazione.

Per riprenderci siamo passati all’inaugurazione della galleria Continua a San Gimignano. Quelle si che sono feste, ragazzi. Verso mezzanotte l’ex-cinema si è trasformato in una discoteca, anche un po’ coattella. E tutti ci ricordiamo che tutto sommato è sabato sera. Anche per l’art system…

Abbiamo bisogno di Goya

Un articolo del Guardian di qualche giorno fa si chiude con una frase del critico d’arte David Lee che recita più o meno così: “Abbiamo bisogno di un Goya in questo momento. Avrebbe realizzato qualcosa di davvero velenoso su questo fiasco in Iraq”.

Ci pensavo da qualche giorno ai Disastri della guerra di Goya, associazione mentale ovviamente stimolata -nella mia mente deviata di storico dell’arte- dalle tremende immagini televisive di questi giorni. Forse non vuol dire niente, ma vorrei lo stesso raccontarvi questa storia. Nel 1863, tre decenni dopo la morte dell’autore, vide la luce la prima edizione dei Disastri, una serie di incisioni crude e impietose sulla guerra. Nel 1937 Picasso ripensa a Goya per la sua Guernica. Nello stesso anno viene stampata una preziosa edizione di quelle incisioni, direttamente dalle lastre originali, per protestare contro la guerra civile in Spagna. Nel 2001 una coppia di irriverenti artisti inglesi, Jake e Dinos Chapman acquista alcune di queste stampe, con le 500.000 sterline che Saatchi gli sgancia per comprare una loro installazione. L’installazione si chiama HELL ed è una delle opere più discusse della mostra Apocalypse, un plastico agghiacciante in cui migliaia di soldatini, vestiti con le uniformi tedesche della Seconda Guerra Mondiale, si mutilano a vicenda nei modi più orribili. Nel 2003 i fratelli Chapman decidono di “modificare” le incisioni di Goya trasformando i volti dei protagonisti in inquietanti pupazzi. Mi sembra che questa storia contenga molti spunti di riflessione: sulle guerre (su tutte le guerre), sulla capacità degli artisti di raccontarle e sulla “paraculaggine” dei Chapman. Hanno le incisioni da due anni, dichiarano di aver pensato sin da subito di modificarle, ma aspettavano una guerra per farlo…Insult to injury è, nonostante tutto, un’opera stimolante, se non altro per tutta la storia che ha alle spalle. Un po’ meno per le rituali voci indignate che grideranno al capolavoro sfregiato…

Art System-ati

blankIeri sera solito giro di inaugurazioni, ormai sempre più rituale, in particolare nel weekend. E più ci avviciniamo alla bella stagione (a Roma oggi è praticamente estate), più i vernissage si affollano, specie se le gallerie in questione sono nei vicoli di trastevere. Cominciamo dalla fighettissima galleria di Lorcan O’Neill, ex assistente del glorioso Antony D’Offay, che continua a proporre vetrine per facoltosi collezionisti. Dopo la tremebonda mostra di Richard Long (schizzi di fango del Tevere su tavole di legno) insiste nella tattica di proporre grandi nomi e poi esporre lavoretti da salotto. E anche la speranza di vedere qualche bel Jeff Wall va a farsi benedire. Però c’era un discreto vippaio: ho avvistato Margherita Boniver in versione museo delle cere e Valentina Cervi.

Tira su il morale la bella performance di Marcello Maloberti due vicoli più in là alla galleria SALES. Di performance se ne vedono poche in questi anni e quelle che si vedono sono in genere deprimenti (o in puro stile body o fluxus anni 70 oppure pretestuosamente alla ricerca di interattività con il pubblico). Maloberti ha messo in piedi un tableu vivant forte e coinvolgente. Bello anche il testo di Cerizza sul catalogo, una specie di raccontino sui suoi ricordi di bambino frequentatore di piscine comunali.

Lo spazio era affollatissimo e il gallerista sembrava però più scocciato che contento…è noto infatti che la Sales non manda inviti. Ma chi l’ha chiamati tutti questi, si sarà chiesto…E noi invece ci chiedevamo perchè non fa le mostre a casa sua, di nascosto, magari con entrata su parola d’ordine…