Articolo pubblicato in Exibart.onpaper n. 33, novembre 2006
Mentre programmatori e designer studiano nuove futuristiche alternative al desktop tradizionale, gli artisti lo reinterpretano. Dipingendolo, smontandolo o teorizzandolo. Ma c’è anche chi riporta a forza il virtuale alla fisicità di spazi e corpi…
di Valentina Tanni
È ormai un’immagine familiare, un panorama consueto e riconoscibile, un orizzonte tanto comune da diventare trasparente. Fa da sfondo al nostro lavoro quotidiano, da cornice per i nostri documenti, da album per le fotografie, da schermo per i film e da stereo per la musica. Stiamo parlando del desktop, lo scrittoio virtuale del computer, quel sistema grafico fatto di icone e cartelle pensato per facilitare l’interazione con la macchina anche agli utenti meno esperti. Basato interamente sulla metafora della scrivania, il desktop riproduce un tradizionale ambiente di lavoro in versione bidimensionale. Con la diffusione capillare dei personal computer la riflessione sull’interfaccia grafica -con le sue potenzialità e i suoi limiti- è diventata una delle più frequentate dagli artisti, da sempre attenti a cogliere le mutazioni dell’immaginario contemporaneo, a reinterpretarne i vizi e le virtù, a mostrarne i paradossi e le implicazioni meno evidenti. Il desktop è stato così dipinto e disegnato (basti pensare ai primi lavori di Carlo Zanni, ai web-paintings di Valery Grancher, agli olii di Miltos Manetas, ai disegni di Masha Boriskina o ai murali di Ola Pehrson), trasformato in strumento per il vjing (come in Wimp, di Alexei Shulgine Victor Laskin), aggredito e smontato (vedi Subculture, di Antonio Mendoza).
Uno tra gli approcci più diffusi da un paio d’anni a questa parte vede gli artisti alle prese con il confronto tra la virtualità e la bidimensionalità del desktop e una sua possibile ri-materializzazione. Il corto circuito generato è naturalmente ironico, spiazzante, a volte persino rivelatore. Così, mentre schiere di designer e programmatori in tutto il mondo si sforzano di progettare nuove interfacce 3D (comeBumpTop, che simula una scrivania vera, su cui muovere i documenti come fossero fogli di carta, impilandoli o accartocciandoli prima di buttarli) con risultati per la verità controversi, che spesso non fanno che complicare le modalità di interazione invece di renderle più intuitive, gli artisti traslano invece i meccanismi virtuali nello spazio fisico e li ricostruiscono con materiali tangibili.
È il caso dell’olandese Jan Robert Leegte e le sue Scrollbars, versione scultorea delle barre di scorrimento che caratterizzano le finestre di dialogo nei sistemi GUI (Graphical User Interface). Il risultato è un’opera raffinata e ironica, che mescola l’estetica e le consuetudini dell’era digitale con gli stilemi della più classica arte minimal, strizzando l’occhio a Dan Flavin e Donald Judd. Simile il lavoro di Joe McKay, autore di The Big Job, trasposizione in metallo dei rettangoli a riempimento progressivo (progress bar) che appaiono sullo schermo durante il caricamento di una pagina web o il download di un file.
Tutta dedicata all’interfaccia dei computer Macintosh, e in particolare a quella di Photoshop, il lavoro “artigianale” di Joel Swanson, che in una semplice scatola di cartone simula una profondità inesistente, rimettendo in prospettiva le finestre e i menu.
Ma l’opera simbolo di tutto il filone di interfacce materiali è senz’altro MAN OS 1 / extraordinateur, dei tedeschi Roland Seidel e Achim Stierman. Il video (vincitore di una menzione al Festival Ars Electronica nella categoria Computer Animation/Visual Effects), realizzato nel 2005 e proiettato sullo schermo di un enorme computer-scultura, non si limita a riprodurre nello spazio di un set e con l’ausilio di cartoni e poster l’ambiente virtuale di un Mac, ma lo fa abitare da attori umani. Protagonista assoluto è naturalmente il microprocessore, interpretato da Mr. Processor, impegnato ad eseguire i comandi impartiti dall’utente di turno (che resta invisibile).
Dopo l’avvio della macchina, durante il quale le icone vengono posizionate manualmente sulla scrivania e la progress bar tirata altrettanto artigianalmente, il sistema riceve un’e-mail nientemeno che da Hans Holbein il Giovane, che chiede di rendere più accattivanti i protagonisti del celebre quadro Gli Ambasciatori. Et voilà, i due vengono rasati con un colpo di Photoshop. I problemi cominciano quando nell’elaboratore si infiltra un virus, prontamente rilevato dal medico di turno, che, manco a dirlo, è il Dr. Norton. La vicenda prosegue su Internet, dove Mr. Processor fa la conoscenza dei signori H, T, M e L, che lo accompagnano durante la sua navigazione attraverso negozi online, siti porno e di cinema. E l’avventura continua. Sino all’inevitabile crash finale…
www.wimp.ru
www.easylife.org/desktop
www.subculture.com
www.zanni.org
www.nomemory.org
www.manetas.com
www.olapehrson.com
http://honeybrown.ca/Pubs/BumpTop.html
www.leegte.org
http://homepage.mac.com/joester5/art/index.html
www.hippocrit.com