2004 / Bartolomeo Migliore. Metalcore

artists texts, books



“As the world does turn
And if London burns
I’ll be standing on the beach with my guitar
I wanna be in a band
When I get to heaven”

(Radiohead, Anyone can play guitar)

Il plettro colpisce ritmicamente le corde. Spesse e metalliche. Un suono sporco e vischioso satura l’aria, rimbomba nelle orecchie, pulsa nel petto. Il ritmo accelera e si fa nervoso; svuota la testa costringendo i pensieri in un angolo buio. Le poche parole -sussurrate o gridate- si incastrano a fatica in mezzo agli accordi rumorosi. Si ripetono diventando un inno, inciso nel cuore e nella memoria.
Il metalcore è una musica ruvida e pesante, sa di ferro e di velocità, attacca frontalmente e attacca pesante, irrispettosa. Bartolomeo Migliore traspone questa scabra immediatezza sulla tela, costringendo il linguaggio pittorico ad una mutazione genetica che imbastardisce il suo DNA con quello della grafica, della segnaletica, dello scarabocchio, del ritornello punk. In questa mostra, che si compone di sei tele e due lavori su legno, i colori dominanti sono il rosso e l’argento (rosso sangue, rosso fuoco, rosso rabbia, rosso coca-cola, rosso fender / argento metallo, argento cromo, argento lama, argento specchio), insieme ad un nero profondo e agli immancabili viola, che affiorano di tanto in tanto segnando le superfici come lividi. Parole singole o brevi frasi diventano l’unico soggetto della rappresentazione, che si confronta direttamente con il linguaggio verbale, in un corto circuito segnico spiazzante e impertinente. Migliore dipinge le parole e riesce a farle risuonare, come inseguite da un eco persistente, le trasforma in grida di battaglia, marchi di fabbrica, pittogrammi che racchiudono uno sguardo sul mondo -un’attitudine- e si imprimono sulla tela come fanno i tatuaggi sulla pelle, con tutto il loro carico simbolico e rituale.
Ma i segni, si sa, sono malleabili. Si prestano ad infinite variazioni; possono raccontare o solo evocare; scomparire dietro alla prepotenza del significato oppure giganteggiare come pura traccia formale. Come logo, potremmo dire usando una terminologia oggi sin troppo ricorrente. L’artista, consapevole di questi giochi prospettici, mescola alle parole riferimenti più o meno evidenti a marchi noti (la Coca-Cola nel legno sagomato Feel, le strisce dell’Adidas in By my side), creando connessioni riconoscibili ma non palesi, che restano ambigue ed embrionali. Che risuonano, anch’esse, come un riverbero in delay.
Il meccanismo concettuale si estende in profondità, contraendo ed espandendo il numero delle dimensioni: la bidimensionalità della pittura e la tridimensionalità dei legni; la bidimensionalità delle tinte piatte ed uniformi e la tridimensionalità testimoniata dalle ombre che proiettano. E ancora: le due dimensioni del significato letterale, e la terza (o quarta) dimensione dei significati possibili.
Le contaminazioni con l’universo underground, la scena musicale indipendente, le sottoculture giovanili, rimangono elementi imprescidibili della modalità espressiva di Migliore, come testimonia tutta la sua ricerca. Le sue tele esprimono tutta l’energia cruda di un giro di accordi in bassa fedeltà, minimale e primigenio, volutamente scomposto ma mai casuale. Metalcore si inserisce come un capitolo acido ed essenziale della discografia pittorica di Migliore, disegnando sulla parete della galleria una mappa disarticolata e sbilenca, che non lascia spazio ad armonie simmetriche ed eleganti, ma guida lo sguardo attraverso un percorso accidentato e ricco di pulsazioni. 33 giri al minuto…


Valentina Tanni

testo scritto per il catalogo mostra “Metalcore“, in “The Season”. Milano, Galleria Pack, 2004
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