Testo pubblicato in Gamescenes. Art in the Age of Videogames (Johan & Levi, 2006)
Cosa succede al nostro corpo quando la mente si immerge negli universi virtuali? Una possibile risposta a questa domanda ce la offre Shooter, opera dedicata all’universo dei gamers dai tedeschi Beate Geissler e Oliver Sann. Il progetto, composto da un video e una serie di fotografie, documenta alcuni LAN party (incontri in cui gruppi di appassionati si sfidano nelle arene digitali dei videogiochi multiplayer collegati tramite una rete locale) organizzati nel corso di un anno e mezzo presso lo studio dei due artisti.
Protagonisti assoluti delle immagini sono i volti dei giocatori, ripresi su uno sfondo neutro da una telecamera puntata frontalmente, fissa e implacabile. Per una volta, quindi, lo sguardo non è diretto sul vero luogo dell’azione -il mondo elettronico del videogame- ma sul retroscena, documentando il contraccolpo fisico di ciò che accade sullo schermo. Lo stimolo è tutto digitale, ma l’altissimo livello di concentrazione mentale richiesto dalle dinamiche di gioco scatena una reazione corporea. Una reazione fatta di tensione, sudore e movimenti concitati, che esprime il dramma del conflitto attraverso il linguaggio del corpo: i gesti e la mimica facciale. I movimenti fisici evocano gli spostamenti che avvengono nello spazio tridimensionale aldilà del monitor, il corpo del giocatore si trasforma in un’estensione ideale di quello dell’avatar che impersona, intrecciando uno stretto legame tra due universi che si dimostrano distanti soltanto teoricamente. La carrellata di ragazzi e ragazze impegnati in una vera e propria battaglia per la sopravvivenza -la morte, si sa, è una presenza incombente nei videogiochi shoot’em up– racconta con rara efficacia la profondità emotiva e sensoriale dell’esperienza videoludica. Lo spettatore, osservando i volti e le espressioni, può soltanto intuire le sorti del combattimento, seguendo con partecipazione l’avvicendarsi dei colpi attraverso gli occhi del giocatore. Nelle fotografie invece, il momento scelto è sempre quello in cui il gamer è impegnato nell’uccisione di un avversario, al cui avatar corrisponde un corpo probabilmente seduto pochi metri più in là.
Shooter affronta il delicato tema del rapporto tra la realtà fisica e i processi immateriali, un campo di indagine di certo non inedito, ma che si è imposto prepotentemente all’attenzione di teorici e artisti soprattutto nell’ultimo decennio, riacceso dall’avvento del cyberspazio e dei mondi virtuali. Una problematica affrontata ad esempio, con un simbolismo crudo e sottilmente sadico, anche dal celebre Painstation (2001), una consolle che punisce il giocatore per ogni errore commesso con una vera punizione fisica (una bruciatura, una frustata o una scossa elettrica). Il progetto, firmato da un’altra coppia di artisti tedeschi, Tilman Reiff e Volker Morawe del collettivo Fur, non mancò di suscitare polemiche per l’indubbio carattere radicale, ma tentava tuttavia con forza di reintrodurre il tema della fisicità nel discorso sull’intrattenimento digitale. Un aspetto spesso sottovalutato a favore di una visione stereotipata basata su una semplicistica contrapposizione tra le esperienze “reali” e quelle “virtuali”, in cui spesso quest’ultimo aggettivo finisce per diventare sinonimo di artificiosità quando non di vera e propria falsità. Vale la pena di citare, in questo contesto, un altro lavoro fotografico dedicato ai raduni dei videgiocatori: la serie Gamers, firmata da Todd Deutsch. A differenza di Shooter, qui le immagini non si limitano a mettere a fuoco i volti, ma si allargano a descrivere l’ambiente dei LAN party, che il fotografo tedesco definisce efficacemente nella presentazione come “a cross between the rebellious bravado of a biker rally and the adolescent nerdiness of Boy Scout camp”. Ecco apparire allora, accanto alle istantanee dei giocatori, grandi stanze invase da computer, schermi e proiettori; pavimenti inondati da grovigli di cavi, bibite energizzanti e sacchi a pelo (spesso i tornei si protraggono per giorni con ritmi frenetici e rarissime pause).
Un altro risvolto interessante di Shooter consiste nella sua capacità di tracciare il ritratto di una generazione, quella dei gamers, che solo di recente è divenuta oggetto di attenzione da parte dei media (che tuttavia indugiano fin troppo in descrizioni infarcite di luoghi comuni e atteggiamenti demonizzanti), degli universi creativi dell’arte, della letteratura e del cinema, nonché degli studi di psicologia e sociologia. L’universo dei LAN party, inoltre, che testimonia delle potenzialità socializzanti dei videogiochi, è soltanto una delle espressioni del carattere intrinsecamente comunitario del medium, un altra caratteristica, questa, spesso trascurata e sottostimata in favore dei ben più pubblicizzati effetti collaterali negativi (aggressività, sociopatia, dipendenza).
[valentina tanni, 2006]