Turning the Place Over

Turning the Place Over

Turning the Place Over is Richard Wilson’s most radical intervention into architecture to date, turning a building in Liverpool’s city centre literally inside out. The artwork was a commission for the Liverpool 2008 Biennial.
Turning the Place Over consists of an 8 metres diameter ovoid cut from the façade of a building in Liverpool city centre and made to oscillate in three dimensions. The revolving façade rests on a specially designed giant rotator, usually used in the shipping and nuclear industries, and acts as a huge opening and closing ‘window’, offering recurrent glimpses of the interior during its constant cycle during daylight hours.

[via todayandtomorrow]

Going to a town

Amy Casey dipinge case. Dipinge ammassi di case che si sforzano di diventare città. Ma rimangono cumuli di legno, ferro e cemento. Alcune sembrano appena atterrate, come astronavi, altre le ha portare un tornado, magari dal regno di Oz. Giurerei, però, di averne riconosciuta una, di queste città. E’ Ottavia:

Se volete credermi, bene. Ora dirò come è fatta Ottavia, città – ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, attenti a non mettereil piede negli intervalli, o ci si aggrappa alle maglie di canapa. Sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; s’intravede più in basso il fondo del burrone. Questa è la base della città: una rete che serve da passaggio e da sostegno. Tutto il resto, invece d’elevarsi sopra, sta appeso sotto: scale di corda, amache, case fatte a sacco, attaccapanni, terrazzi come navicelle, otri d’acqua, becchi del gas, girarrosti, cesti appesi a spaghi, montacarichi, docce, trapezi e anelli per i giochi, teleferiche, lampadari, vasi con piante dal fogliame pendulo. Sospesa sull’abisso, la vita degli abitanti d’Ottavia è meno incerta che in altre città. Sanno che più di tanto la rete non regge.
(Italo Calvino, Le città invisibili)

1500 sedie vere invece, ammassate, sono più o meno così:

reccomended soundtrack

Conceptual terrorism

Un grattacielo avvolto in 18 milioni di tonnellate di gelatina alla fragola…

“Your outdated ideas of what terrorism is have been challenged,” an unidentified, disembodied voice announces following the video’s first 45 minutes of random imagery set to minimalist techno music. “It is not your simple bourgeois notion of destructive explosions and weaponized biochemical agents. True terror lies in the futility of human existence.”

[via Newsgrist]

*update: nel frattempo, in quel di Roma, la Fontana di Trevi diventa rosso sangue (o rosso carpet…) – fotovideo

Città in valigia


L’artista cinese Yin Xiuzhen è l’autrice di Portable Cities. L’opera è composta da 6 valigie contenenti i modelli in miniatura di altrettante città. Palazzi, strade e ponti sono fatti con vecchi vestiti e altri materiali riciclati trovati dall’artista per le strade di ognuno dei centri urbani rappresentati.
Nella valigia di New York City, che risale al 2003, ci sono due bellissime torri gemelle trasparenti fatte in un materiale che sembra organza.

[via greg.org]

Il quarto piedistallo


Il progetto londinese Fourth Plint si propone di utilizzare un plinto di Trafalgar Square rimasto vuoto (costruito nel 1841 per accogliere una statua equestre mai realizzata) per esporre, a rotazione, opere di artisti contemporanei. Proprio ieri è stata scoperta la statua ritratto che Marc Quinn ha dedicato all’artista disabile Alison Lapper. La scultura (Alison Lapper Pregnant) ritrae la donna quando era incinta di suo figlio Parys, che oggi ha cinque anni. Inevitabili le polemiche, opposti i punti di vista: c’è chi vede la statua come una celebrazione della vita, chi solo una sensazionalistica spettacolarizzazione dell’handicap. L’opera rimarrà sul suo piedistallo per 18 mesi, dopodichè passerà il testimone al più innocuo (e appropriato per una piazza) “Hotel per uccelli” di Thomas Schütte.

qui un articolo del guardian
qui un articolo sulla storia di alison lapper

(Don’t) walk


Thundercut è un artista di strada che interviene sugli omini luminosi dei semafori. Non fa altro che applicare curiosi adesivi che li “vestono” senza coprire la luce. E qualche volta re-interpreta anche la mano, trasformando un innocuo ALT in un bel paio di corna.
Sempre in tema di segnali stradali, vale la pena di guardare anche le animazioni di Scott Garner, la collezione di finti cartelli PANOS e le smorfie del nostrano Pino Boresta.