Avevo già segnalato la mostra di Gabriele Picco, Nuotatori di lacrime. Ma ora non posso fare a meno di bissare per condividere la visione di questa bellissima scultura.
[via gattodischroedinger]
Avevo già segnalato la mostra di Gabriele Picco, Nuotatori di lacrime. Ma ora non posso fare a meno di bissare per condividere la visione di questa bellissima scultura.
[via gattodischroedinger]
Il 31 maggio inaugura a Milano, presso la Galleria Francesca Minini, la nuova mostra di Gabriele Picco. Si intitola Nuotatori di lacrime in apnea sulla fine del mondo.
Dalle immagini di anteprima sembra un Picco meno irriverente e più malinconico del solito. Surreale, poetico, bizzarro. Guardate l’omino dalle grandi lacrime-acquario; oppure Google-man, “l’abominevole uomo del web, con il corpo dell’Omino Michelin, la faccia cubista del primo Picasso e le sneakers all’ultima moda”.
Ci voleva un po’ di Messico, di macabro e vitale Messico, per riaccendere la vena creativa di Damien Hirst. Ecco le opere della nuova mostra del corifeo contemporaneo della morte, a Mexico City, presso la galleria Hilario Galguera. Qui una serie di immagini della mostra, qui un articolo e qui una strepitosa intervista a Hirst alla vigilia dell’opening:
Damien Hirst’s Mexican show, which opens on 23 February, if the shark gets through customs, is called The Death of God. The first thing the curious and the faithful will see as they ascend the steps to the gallery is a snow-white dove, its wings spread wide as if in flight. Beneath it, on the floor of the formaldehyde-filled tank, sits a human skull. It is called The Inescapable Truth.
When I tell Hirst it seems more hopeful than much of his work in the same vein, he seems slightly offended. ‘Hopeful for you, maybe,’ he mutters, ‘but, the guy’s definitely dead, and the bird’s not fucking going anywhere either.’
L’artista coreano Dong Wook Lee dà vita a strane creature. Tutte alte due mele o poco più. Ma anche meno…
Un suo lavoro è attualmente esposto a Modena nella mostra Egomania.
Nella foto: Green Giant, 2003
Fino al 2 aprile 2006 è aperta presso la Hayward Gallery di Londra, una grande retrospettiva sul lavoro di Dan Flavin, l’uomo che ha reso il neon celebrale poesia. In occasione della mostra, è stato creato un sito web (Dedications) dove creare il proprio assemblage di tubi luminosi e poi dedicarlo a qualcuno. Ipnotico.
Ieri sera ha aperto al MACRO di Roma la mostra di Leandro Elrich, giovane e promettente artista argentino.
Le opere? “Un ascensore che non sale e non scende, una piscina in cui non si può nuotare, uno specchio che non riflette, una tromba delle scale visibile solo frontalmente, luci che filtrano al di sotto di una porta che si apre invece su una stanza buia.”
Le ultime due citate sono visibili nella mostra romana, che vale una visita. Anche il sito web di Elrich è da visitare. Nonostante l’interfaccia non proprio furba e i vari caricamenti flash.
Anton Corbijn racconta, da più di trent’anni, una cultura di confine, che si muove tra musica ed immagine. I suoi soggetti più popolari sono le icone dello star system, che ritrae utilizzando un linguaggio scarno e minimale. Parallelamente all’attività di fotografo, verso la metà degli anni Ottanta, Corbijn comincia a dirigere video musicali; tra gli artisti con cui ha collaborato troviamo David Sylvian, Joni Mitchell, Nick Cave, Red Hot Chili Peppers, Mercury Rev, Depeche Mode, U2. Nel 1993 vince l’MTV Music Award per il miglior video dell’anno con Heart Shaped Box dei Nirvana.
Giovedi 24 novembre inaugura a Roma presso la galleria Lipanjepuntin la mostra U2&i, in cui il fotografo olandese espone il lavoro di ventitrè anni di collaborazioni con gli U2.
Di Corbijn così ha scritto Paul Hewson, in arte Bono: “Quando ho incontrato Anton per la prima volta, gli ho avanzato subito alcune richieste… fammi sembrare alto, magro, intelligente e con un grande senso dell’umorismo… Dunque vorresti essere come me, fu la sua risposta. Così è Anton Corbijn: un nuovo maestro olandese, un uomo divertente, un serio fotografo, un silenzioso film-maker capace di ballare. E allora, qual’è il suo problema? Anton, alla fine, avrebbe sempre voluto essere un batterista”.
(nella foto: U2 – Fathers and Sons, Dublin 1999)
E’ in corso al MassMoca (Massachusetts Museum of Contemporary Art) una mostra sul rapporto tra arte contemporanea e regno animale: Becoming Animal: Contemporary Art in the Animal Kingdom (attenzione, il sito è in flash ed è annidato dentro questa lista di mostre, al 5° posto). Una parata di visioni inquietanti: ibridi uomo-animale, esseri transgenici, congegni tecnologici per facilitare il dialogo tra specie, carte da parati sovversive.
Tra tutti, segnalo Jane Alexander, Natalie Jeremijenko, Motohiko Odani (foto) e naturalmente, l’immensa Patricia Piccinini.
Non una ma addirittura due mostre americane parlano del rapporto tra tecnologia e occulto. Tra visibile e invisibile, tra normale e paranormale. The Perfect Medium: Photography and the Occult al Metropolitan Museum e Blur of the Otherworldly: Contemporary Art, Technology and the Paranormal al Center for Art and Visual Culture (UMBC). Dalle fotografie ottocentesche alle visioni contemporanee. Una buona occasione per mettere in discussione, ancora una volta, la presunta affidabilità della ripresa meccanica e le pretese di realismo di ogni mezzo.
[via newsgrist]
A Roma, presso la galleria De Crescenzo e Viesti c’è una mostra di Antonio Riello intitolata Lavori Romani. Dopo aver realizzato le famose Ladies Weapons, e dopo la trasformazione del più grande museo italiano nell’atrio di un aeroporto, l’artista veneto sforna modelli in scala di aerei e navi da guerra minuziosamente decorati e dipinti. Caccia da combattimento che potrebbero appartenere ad una ipotetica Vatican Air Force o sottomarini di una Legione Romana Sottomarina con tanto di SPQR e fregi imperiali. C’era anche un kitchissimo San Pio Rocket.
L’idea è bella, bisogna ammetterlo. Una mostra sul tema della celebrità. Si chiama “Superstars” ed inaugura alla Kunsthalle di Vienna il prossimo 4 novembre con una parata di quasi duecento artisti di ogni età e provenienza. A partire dallo scontato Andy Warhol, fino a Helmut Newton, passando per Eva & Adele (la coppia di travestiti che da anni si aggira per le mostre internazionali in mise eccentriche).
E va bene che il tema, porta, necessariamente, a sguazzare nel trash, ma c’era proprio bisogno di principiare il comunicato stampa di presentazione della mostra con una citazione di…Jamelia???
I don`t know who you are,
But you must be some kind of superstar,
Coz you got all eyes on you no matter where you are.
(Superstar, Jamelia)
I am 8 bit è una mostra che si è tenuta a Los Angeles la scorsa primavera. Hanno partecipato oltre 100 artisti impegnati a mettere su carta, pietra, legno e quant’altro personaggi, immagini e atmosfere dei videogames pixelati anni 80. Una galleria imperdibile di foto scattate all’opening la trovate qui.
[via selectparks]
L’anno scorso il party di inaugurazione della mostra estiva del Forum austriaco di cultura era stato un tripudio di birra e wurstel. Quest’anno invece il buffet è stato molto spartano, in compenso l’alcol ha scorso a fiumi. Le sollecitazioni culinarie venivano da una bizzarra installazione posta in un angolo del giardino. Degli umidificatori ad ultrasuoni della Chicco diffondevano essenza di cioccolato fondente, ingrediente di copertura della mai troppo celebrata Sachertorte. Cattiveria delle cattiverie, della torta manco l’ombra…
Lui si chiama Julian Opie, è a Roma con una piccola deliziosa mostra alla Galleria Valentina Bonomo al Portico d’Ottavia (fino al 15 luglio). Dice delle sue opere: volevo fondere ritrattistica e segnaletica stradale. E secondo me è riuscito nella disperata impresa…
Nelle foto i suoi ritratti dei Blur e la brillante parodia Blair (da www.qwghlm.co.uk)
Lo scorso weekend sono stata in Maremma per l’inaugurazione di QuattroVenti, manifestazione che si propone di coniugare arte, territorio, tradizioni, gastronomia, artigianato e quant’altro.
Il tema di quest’anno è la “sedia” come simbolo di ospitalità. Manciano, Montemerano, Saturnia e molti altri comuni sono stati invasi da una serie di sculture a forma di seggiola. Tra sedie, troni, panchine e sedione (quasi tutte enormi) spiccava per ironia e sfrontatezza la sedia di plastica di Piero Golia, mezza affondata in un pesantissimo blocco di cemento. Il suo monumento sbilenco alla sedia di plastica da giardino mi è sembrata una soluzione molto più azzeccata di tante altre (come la scontata sedia israelo-palestinese di Jota Castro, per fare solo un esempio).
Solo un’altra notazione a proposito del suddetto weekend. A cena l’ultima sera siamo stati qua, all’Hotel Ristorante “Le terme di Saturnia”. Io un posto così kitsch e malinconico non l’ho mai visto. Con tanto di piano bar con carampane ingioiellate e galleria d’arte interna in cui si svolgevano (per passatempo) aste di preziosi e oggetti d’antiquariato. Così, come alternativa al tavolo di ramino.
Momento d’oro per la merda nell’arte contemporanea. Dopo quella storica in scatola del maestro Manzoni e quella d’elefante di Chris Ofili, e in attesa della Cloaca Turbo di Wim Delvoye (da novembre al Pecci di Prato), arriva quella di cavallo di Sislej Xhafa. Venerdi sera, proprio all’ora di cena, diciamo in zona aperitivo, la galleria più in della capitale (Magazzino d’arte moderna) era piena di escrementi equini. Tutto il jet set fuori in cortile, allontanato dalla puzza insopportabile. Nell’altra sala c’era un Garibaldi di terracotta alto si e no un metro e mezzo, con zollette di zucchero in mano. Forse il cavallo era diabetico (o leghista) e deve essere scappato lasciando un po’ di ricordini…
update: leggendo il testo di Teresa Macrì ho scoperto che il cavallo non è scappato. Trattasi di furto…
Libertà, si sa, è una parola consunta e abusata. Tra i molti usi impropri l’ultimo trend sembra quello di appellarsi alla “libertà” per nascondere la mancanza di un’idea coerente, di un progetto, di un giudizio di valore, di un punto di vista.
Sono andata a vedere la mostra allestita al Palazzo delle Papesse di Siena. Nonostante il titolo e nonostante l’invito (una scheda elettorale gialla con lo stemma della banana di Warhol e la scritta “il 20 giugno vota il Palazzo delle Libertà”). La “mostra” non ha nè capo nè coda, gli artisti sono quasi tutti sbucati dal nulla (cosa hanno fatto? cosa legittima la loro presenza in un MUSEO PUBBLICO?), le opere brutte e mal allestite. Più un paio di chicche: due insulse installazioni di Aldo Nove e Giovanni Lindo Ferretti (spacciate per gran figate, nel segno della contaminazione e della multidisciplinarietà). E questa la dichiarazione di intenti:
“L’intento è quello di offrire un punto di vista multicentrico. Non vi sono restrizioni all’interno del Palazzo delle Libertà: né concettuali né espressive. […] Un anelito alla libertà dell’artista.”
Se ci fosse un pubblico più sveglio e coraggioso, ma soprattutto una critica più sincera e meno anestetizzata, queste persone sarebbero costrette a sentire la responsabilità di quello che fanno. L’arte non è tutta bella, tutta buona, tutta interessante, come sembrerebbe leggendo le riviste specializzate. Mai una stroncatura, raramente un giudizio, quasi sempre si sceglie la comoda via dell’astensione. (l’unica mostra che ci si sente autorizzati a stroncare è, non so perchè, la Biennale di Venezia)
Attenzione a non confondere “…l’arbitrarietà con la libertà, l’autoindulgenza con l’espressione”. (Hal Foster)
Venerdi sera grande inaugurazione al MACRO: quattro-artisti-quattro. Nel cortilone spiccavano i “monumenti” di Tony Cragg, uno dei pochi artisti contemporanei che si possa ancora fregiare del titolo di scultore. Belle, belle, belle. Cragg è come la Roma, non si discute. La gente non resisteva alla tentazione di toccarle, queste enormi concrezioni plastiche, altre dieci carezze e si consumavano peggio del piede di San Pietro.
Una stanza era dedicata all’americana Cecily Brown, che per continuare con le metafore calcistiche “vince ma non convince”. Dipinge grandi tele a soggetto erotico (anzi pornografico) con uno stile che più che “espressionista” definirei “na caciara”. Dice la stessa cosa, anche se in maniera più elegante, il comunicato stampa: “Le opere della Brown hanno bisogno di tempi lunghi di lettura, poiché i temi sono sopraffatti dalla materia pittorica, noi possiamo cercare di liberarli, seguendo lo sciamare e il brulicare dei colpi di pennello e immergendoci nelle superfici densamente stratificate che sfruttano”
Poi c’era Simon Starling che ad occhio è croce è molto meglio di quello che sembra da questa mostriciattola. Infine, perla della serata, la performance di Sissi, che ha trascinato su e giù per il passaggio sopraelevato del museo (una specie di tunnel a vetri) un enorme groviera di gomma piuma rosa, nascondendosi all’interno.
E dalla groviera passiamo al pecorino, così giustifico il titolo del post e chiudiamo il cerchio. Il buffet era composto di grandi forme di pecorino romano e parmiggiano reggiano, un vero spettacolo. Tanto affascinante da confondere un americano che con nonchalance ci indica il pecorino e fa :”Is this… mozzarella?”
lista dei vipsss avvistati: Alessandro Haber (nella foto con Luigi Ontani), Lucrezia Lante della Rovere, Roberto Ciufoli della Premiata Ditta, Mimmo Paladino.
Venerdi sera ha inaugurato la mostra di Francesco Carone da Isabella Brancolini a Firenze, trasformata per l’occasione in Green Gallery. Il piano terra della galleria era totalmente dipinto di un abbagliante verde acido, soffitto compreso. Poi un vespino verde, un teschio in resina verde, un boomerang verde… Al piano di sotto un bel video con protagonista Harry Houdini e tre lighbox. L’inaugurazione era affollata, nonostante la serata fosse piovosa e il Lungarno umido e impossibile da raggiungere per gli automobilisti. Abbiamo infatti scoperto che a Firenze si parcheggia solo se si è residenti…e se si va in un parcheggio a pagamento si spende tre euro l’ora…E io che mi lamentavo di Roma.
La cosa più divertente del vernissage (anzi del verDissage) era il buffet, fatto naturalmente di soli cibi verdi: olive, capperi, gelato al pistacchio, latte-e-menta (un tuffo nell’infanzia per quanto mi riguarda). Ho visto anche girare un improbabile cocktail fatto di menta e vodka, subito ribattezzato Tantum verde.
Sabato mattina sveglia alle 8 e partenza per il giro attraverso il Chianti di Tuscia Electa. Per vedere opere d’arte ambientale piazzate in boschi, prati e giardinetti, la giornata era davvero IDEALE. Diluviava. Quella che doveva essere un’allegra scampagnata si è trasformata in un mesto pellegrinaggio un po’ fantozziano in mezzo al fango. Interrotti ogni tanto da un bel buffet a base di pappa-al-pomodoro, salumi e pasticcini (ho abusato dei cannoli al cioccolato bianco fino ad avere allucinazioni). Per quanto riguarda le opere: una standing ovation personale per Cesare Pietroiusti che ha dimostrato che il concettualismo può evitare la trappola della freddezza e dell’autoreferenzialità. Ed essere divertente, intelligente, comunicativo. L’artista romano ha studiato dei luoghi non-monumentali con l’approccio scientifico e storiografico che si riserva alle opere d’arte e ai monumenti storici. Stazioni del bus, pompe di benzina, casotti dell’Anas, circoli di bocce. Poi ci ha fatto fare una divertente visita guidata con il pullman della Sita, ossia “la corriera”. Le sue schede sono anche inserite nell’orario ufficiale distribuito ai passeggeri. Intanto si attendeva l’annuncio del vincitore del premio Furla (o Burla, fate voi), un po’ come i risultati della partita: “Come sarà finito il Furla??” . Per mera cronaca, ha vinto Massimo Grimaldi.
Bilancio finale della giornata: mi sono infangata i pantaloni, l’opera più figa l’ho vista dal bus, ci hanno fregato i cataloghi, l’ombrello e anche i soldi. Senza parlare del riscatto di 34 euro pagato per ritirare la macchina dal parcheggio della stazione.
Per riprenderci siamo passati all’inaugurazione della galleria Continua a San Gimignano. Quelle si che sono feste, ragazzi. Verso mezzanotte l’ex-cinema si è trasformato in una discoteca, anche un po’ coattella. E tutti ci ricordiamo che tutto sommato è sabato sera. Anche per l’art system…
Ieri sera solito giro di inaugurazioni, ormai sempre più rituale, in particolare nel weekend. E più ci avviciniamo alla bella stagione (a Roma oggi è praticamente estate), più i vernissage si affollano, specie se le gallerie in questione sono nei vicoli di trastevere. Cominciamo dalla fighettissima galleria di Lorcan O’Neill, ex assistente del glorioso Antony D’Offay, che continua a proporre vetrine per facoltosi collezionisti. Dopo la tremebonda mostra di Richard Long (schizzi di fango del Tevere su tavole di legno) insiste nella tattica di proporre grandi nomi e poi esporre lavoretti da salotto. E anche la speranza di vedere qualche bel Jeff Wall va a farsi benedire. Però c’era un discreto vippaio: ho avvistato Margherita Boniver in versione museo delle cere e Valentina Cervi.
Tira su il morale la bella performance di Marcello Maloberti due vicoli più in là alla galleria SALES. Di performance se ne vedono poche in questi anni e quelle che si vedono sono in genere deprimenti (o in puro stile body o fluxus anni 70 oppure pretestuosamente alla ricerca di interattività con il pubblico). Maloberti ha messo in piedi un tableu vivant forte e coinvolgente. Bello anche il testo di Cerizza sul catalogo, una specie di raccontino sui suoi ricordi di bambino frequentatore di piscine comunali.
Lo spazio era affollatissimo e il gallerista sembrava però più scocciato che contento…è noto infatti che la Sales non manda inviti. Ma chi l’ha chiamati tutti questi, si sarà chiesto…E noi invece ci chiedevamo perchè non fa le mostre a casa sua, di nascosto, magari con entrata su parola d’ordine…