Back from Irpinia

Tornata. Sana e salva. E grazie a Dio anche con le pile super-cariche. Mediaterrae è stato incredibile, un concentrato di energia, creatività, passione e vero scambio. Mi mancano già tutti. E mi mancano la tarantella, il caciocavallo, il preziosissimo divano di Sara, le risate, e persino la musica sparata a tutto volume la mattina per svegliarci. Ok, bando alla malinconia, lascio un po’ di link con foto e video. Si pensava di mettere su al più presto un blog per condividere i materiali e seguire il work in progress del DVD fino alla sua uscita. Vi tengo aggiornati…

(For non-speaking italian people: I’m back, I miss you all. Thanks a lot for the amazing week. Here are some photos and videos…)

Le mie foto
Le foto di Leandro
Le foto di Paolo
Burnt Friedman & Jaki Liebezeit – Anders Weberg & Robert Willim (video)
Deadbeat – Jeffers Egan (video)
Mediaterrae Night – Tarantella (video)
Rechenzentrum and Deadbeat/Jeffers Egan (video)
Burnt Friedman/Jaki Liebezeit /Anders Weberg/Robert Willim (video)

Gadget culture

Reduce dalla Biennale di Architettura (qui il photo-set della trasferta), vi segnalo l’incontenibile vitalità del padiglione ungherese. Il progetto Re:orient / Migrating Architectures è una riflessione sulla crescente influenza della cultura cinese. Le installazioni sono fatte di pinguini, gattini miagolanti, macchinine giocattolo e componenti low-tech (e low cost) di vario genere. La cultura del gadget che si fa progetto architettonico…

Sneakers tribali


Tornando alle cose viste a New York, vale la pena di segnalare i lavori del canadese Brian Jungen, esposti al New Museum. Due le opere che mi hanno colpito. Gli enormi scheletri di cetaceo fatti con le sedie di plastica (quelle da giardino proprio) e le maschere cerimoniali degli Indiani Dàne-Zaa costruite con le scarpe da ginnastica (Nike Air Jordan, nello specifico). Una strana commistione, specie in queste ultime, tra cultura pop e antichi rituali…

Ars Electronica part III: i pupazzi


Ultima parte del resoconto diviso in aree tematiche di Ars Electronica 2005. Sorprendete affollamento di pupazzi, robottini, creaturine reali e virtuali. Nella sezione dedicata all’animazione meritano una segnalazione le rane di pezza (vicine parenti di Kermit) del video francese Overtime, omaggio al papà dei Muppets Jim Henson. L’animazione racconta di un gruppo di rane fantoccio che, di fronte alla morte del proprio creatore, non sanno inizialmente darsi una spiegazione e cercano di continuare la vita di tutti i giorni. In un bianco e nero raffinato e struggente.
Tra i pupazzi veri, spiccano i due filosofi di Watschendiskurs, impegnati in discussioni sulla teoria del linguaggio. Citano Wittgenstein e proverbi russi sul tempo. Ogni tanto si schiaffeggiano e cambiano argomento.
Infine, il dispettoso Pussy Weevil, una creaturina verde che vive dentro uno schermo. E reagisce alla presenza dello spettatore: Se si è lontani il suo comportamento è insolente, ma se ci si avvicina diventa timido e magari scappa pure. Sembra che l’intenzione fosse quella di fornire una “caustica parodia” dei comportamenti dei politici.

Ars Electronica part II: gli sportivi


Ovvero le installazioni che richiedono abilità atletiche e sudore. Ho apprezzato il grande tapiroulant da cardiopalma di Marnix de Nijs, soprattutto per il titolo, un garbata esortazione per lo spettatore: Run Motherfucker RunNon me la sono sentita di provarlo, ma ho assistito alla performance di un impavido ragazzetto giapponese che ha affrontato l’infernale congegno addirittura scalzo. Piuttosto antipatica invece Jumping Rope, dove il gioco è quello classico della corda, ma visto che quest’ultima è invisibile, ci vuole molta immaginazione per saltare decentemente e al momento giusto. Se ti riveli una mezza sega i personaggi in video che reggono la “corda” ti sbeffeggiano pure. Finiamo con il tennis, che nell’installazione Interface #4 / tennis V180, si può giocare usando dei monitor come racchette. Anche qui è richiesta molta immaginazione, ma molto meno sforzo fisico.

Ars Electronica part I: lo zoo


Allora, visto che raccontare tutto in ordine cronologico sarebbe un’impresa titanica, segnalerò alcune delle cose viste ad Ars Electronica procedendo per temi. Cominciamo dalla parte zoofila. La palma per il progetto più discutibile dell’anno se lo aggiudica Cockroach Controlled Mobile Robot #2, un robot letteralmente “guidato” da uno scarafaggio ENORME. Non ho obiezioni animaliste da fare (pare che quel tipo di insetto sia a suo agio in spazi ristretti e che non senta dolore), ma confesso di non aver capito il punto. Non mi sembra particolarmente bello, nè visionario, nè mi sembra che tocchi qualche nervo scoperto a livello teorico-culturale. Insomma, se qualcuno ci trova un qualche interesse che non sia puramente curiosity-based, mi piacerebbe sapere qual’è.
Electronic Life Forms è un po’ più evocativo: insetti robotici alimentati ad energia solare abitano tra piante vere. Ma il progetto più interessante è quello premiato con il riconoscimento speciale della giuria. Sto parlando di Strandbeest di Theo Jansen. Le sue grandi “bestie da spiaggia” sono davvero creature di enorme fascino. Sono grandi scheletri (o fossili?) costruiti con tubicini di plastica e sono in grado di camminare da soli. Senza ausilio di motori, computer o energia elettrica, i bestioni si spostano con movenze estremamente organiche, con il solo ausilio del vento. Il miglior progetto di Ars Electronica, insomma, non è elettronico manco un po’. Ma è molto più nuovo di tante installazioni interattive sparse per le mostre. Quelle, per capirci, dove tu ti muovi, spingi un bottone, fai un saltino, e qualcosa sullo schermo reagisce. Ho sempre di più la sensazione che questi meccanismi di interazione così elementari (stimolo-risposta) abbiano fatto il loro tempo. Alla prossima puntata.

Il misterioso rito della crêpe


Tra le tante cose viste a Linz (che posterò nei prossimi giorni) c’è questo bellissimo video. Si chiama “La Migration Bigoudenn” e gli autori sono tre studenti della Gobelins visual School di Parigi. In cima ad una scogliera della Bretagna un gruppo di vecchine in abiti tradizionali si incontra per un rito misterioso. Protagonista assoluta una crêpe…

This is sooo contemporary


Ancora un post per la Biennale di Venezia. Poi prometto che cambio argomento. Volevo segnalare le tre cose che mi sono piaciute di più. Non dei capolavori, ma rarissimi guizzi di ironia e intelligenza in una biennale soft e politically correct. Talmente composta da (quasi) far rimpiangere il caos di due anni fa. Organizzata, quasi sempre ben allestita, ariosa e rilassante. Pure troppo.
A svegliarci dal torpore, entrando nel padiglione tedesco, ci pensa Tino Seghal, che fa canticchiare (e ballare) ai custodi della sala una specie di mantra della contemporaneità: “This is so contemporary, contemporary, contemporary. Ohhhhhhh“. Nella sala successiva una conversazione sull’economia di mercato può farvi guadagnare metà del biglietto d’ingresso (3,75 euro). Il motivetto, che rimane in testa per giorni, è un buon antidoto alla malinconoia di ascendenza masiniana che potrebbe assalirvi durante la permanenza veneziana.
Un tifo da stadio si merita Francesco Vezzoli, che dopo qualche prova meno riuscita torna alla stragrande con il suo Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula, un trailer di un trash sublime, con un claim da oscar:

Beyond sensuality there is sexuality
Beyond sexuality there is perversity
Beyond perversity there is only…Caligula!

Ultima menzione per il cortometraggio Mondo Veneziano, del lussemburghese Antoine Prum. Bizzarro film sul sistema dell’arte contemporanea, girato in una Venezia completamente finta (un set), ancora più decadente di quella reale. Con la luna attaccata ad un filo come un enorme palloncino, le calli deserte e i canali prosciugati. I dialoghi sono solo citazioni astruse da saggi sull’arte contemporanea, inframmezzati da scene splatter alla Kill Bill.
Anche qui, una perla assoluta, ripresa da Jean Cocteau:

“In art there are no schools, only hospitals.”

Seggiolette e carampane


Lo scorso weekend sono stata in Maremma per l’inaugurazione di QuattroVenti, manifestazione che si propone di coniugare arte, territorio, tradizioni, gastronomia, artigianato e quant’altro.
Il tema di quest’anno è la “sedia” come simbolo di ospitalità. Manciano, Montemerano, Saturnia e molti altri comuni sono stati invasi da una serie di sculture a forma di seggiola. Tra sedie, troni, panchine e sedione (quasi tutte enormi) spiccava per ironia e sfrontatezza la sedia di plastica di Piero Golia, mezza affondata in un pesantissimo blocco di cemento. Il suo monumento sbilenco alla sedia di plastica da giardino mi è sembrata una soluzione molto più azzeccata di tante altre (come la scontata sedia israelo-palestinese di Jota Castro, per fare solo un esempio).
Solo un’altra notazione a proposito del suddetto weekend. A cena l’ultima sera siamo stati qua, all’Hotel Ristorante “Le terme di Saturnia”. Io un posto così kitsch e malinconico non l’ho mai visto. Con tanto di piano bar con carampane ingioiellate e galleria d’arte interna in cui si svolgevano (per passatempo) aste di preziosi e oggetti d’antiquariato. Così, come alternativa al tavolo di ramino.

Mi(la)nority report 2005


Anche quest’anno un salto a MiArt. Come da tradizione. La fiera moscia e piatta, tranne qualche guizzo qua e là. Molto bella invece la mostra di Steve McQueen nel patinatissimo spazio della Fondazione Prada. Che, nonostante l’omonimia con l’attore americano (che pare abbia causato una bizzarra affluenza di giornalisti convinti di trovare una mostra su mister vita spericolata) pare sia uno scorbutico omone di colore inglese. Affascinante anche l’installazione mangereccia (una casa di pane sbocconcellata da pappagallini isterici) di Urs Fischer. Tappa obbligata da MUJI in corso Buenos Aires, dove ho potuto comprare i miei generi di consumo preferiti: quelli totalmente inutili. Una serie di oggettini molto cheap and chic, ma destinati quasi tutti alla stanza permanente nella “ciotola” delle chiavi all’ingresso di casa (tranne forse la fascia per la doccia).
Nota utile: imperdibile il ristorante “Osteria della Conca Fallata“, ovvero come mangiare un’ottima cucina pugliese a Milano.
Nelle foto due opere che hanno attirato la mia attenzione in fiera: l’IPOD retrò (montato su nintendo) di Cory Arcangel e gli irresistibili quadretti di Luigi Presicce.

Ce lo meritiamo?

Sono a Venezia causa Biennale, tre giorni di preview per la stampa. Ora: fanno 40 gradi, l’umidità ci ammazza, i ristoranti chiudono alle 9, i prezzi sono esorbitanti, in tutta la Biennale non c’è una toilette, siamo stati a 4-5 inaugurazioni e non c’hanno offerto manco le classiche “du noccioline”…Comincio a pensare ad un castigo divino per il frivolo mondo dell’arte, forse è la solo prima piaga?

Art system-ati – La sindrome di Pecorino

Venerdi sera grande inaugurazione al MACRO: quattro-artisti-quattro. Nel cortilone spiccavano i “monumenti” di Tony Cragg, uno dei pochi artisti contemporanei che si possa ancora fregiare del titolo di scultore. Belle, belle, belle. Cragg è come la Roma, non si discute. La gente non resisteva alla tentazione di toccarle, queste enormi concrezioni plastiche, altre dieci carezze e si consumavano peggio del piede di San Pietro.

Una stanza era dedicata all’americana Cecily Brown, che per continuare con le metafore calcistiche “vince ma non convince”. Dipinge grandi tele a soggetto erotico (anzi pornografico) con uno stile che più che “espressionista” definirei “na caciara”. Dice la stessa cosa, anche se in maniera più elegante, il comunicato stampa: “Le opere della Brown hanno bisogno di tempi lunghi di lettura, poiché i temi sono sopraffatti dalla materia pittorica, noi possiamo cercare di liberarli, seguendo lo sciamare e il brulicare dei colpi di pennello e immergendoci nelle superfici densamente stratificate che sfruttano”

Poi c’era Simon Starling che ad occhio è croce è molto meglio di quello che sembra da questa mostriciattola. Infine, perla della serata, la performance di Sissi, che ha trascinato su e giù per il passaggio sopraelevato del museo (una specie di tunnel a vetri) un enorme groviera di gomma piuma rosa, nascondendosi all’interno.

E dalla groviera passiamo al pecorino, così giustifico il titolo del post e chiudiamo il cerchio. Il buffet era composto di grandi forme di pecorino romano e parmiggiano reggiano, un vero spettacolo. Tanto affascinante da confondere un americano che con nonchalance ci indica il pecorino e fa :”Is this… mozzarella?”

lista dei vipsss avvistati: Alessandro Haber (nella foto con Luigi Ontani), Lucrezia Lante della Rovere, Roberto Ciufoli della Premiata Ditta, Mimmo Paladino.

Mi(la)nority report

Finalmente riesco a scrivere qualcosa. Gli ultimi giorni sono stati lavorativamente asfissianti. Roba da non non riuscire nemmeno a infilarsi il pigiama la sera. Avrei voluto raccontare la trasferta a Milano in diretta, ma trovare computer collegati era una vera mission impossible. Visto che fare una cronaca dettagliata ex-post richiederebbe almeno 10 pagine, cerco di essere sbrigativa e faccio un report schematico:

Vips all’inaugurazione: Filippa Lagerback (con pancione), Martina Colombari (bella da far impressione), Billy Costacurta (messo in ombra dalla consorte, ma sembra che sia lui il collezionista d’arte), Giacomo di aldogiovanniegiacomo (più basso di quanto potreste mai immaginare), Maurizio Cattelan (in forma smagliante), Antonella Boralevi (un po’ sbattuta, per la verità)

Cibo trangugiato ai buffet: tartine alle melanzane,tartine al prosciutto, cous cous, parmiggiano reggiano, prosciutto, salame, torte varie.

Pernottamenti: un delizioso Bed&Breakfast in zona Loreto e un trestellenormale a Piacenza.

Furti: come ogni anno c’è sempre qualcuno che si inguatta qualcosa, così per il gusto di sgraffignare. Hanno rubato degli asciugamani di Francesco Carone (forse il loro trestelle non glieli forniva) e un pallone da calcio di Fausto Gilberti (si annoiavano, poverini, mica hanno tutti i torti…)

Il Vip Lounge: c’era una specie di salottino riservato ai vips. Noi abbiamo tentato di entrare con la tessera PRESS, curiosi di vedere cosa succede in un vipplaunggge. Ma la signorina all’ingresso, addolorata, ci ha fatto notare che PRESS non equivale a VIPPS e che non avevamo la tessera in oro zecchino necessaria per accedere. La cosa buffa è che tutte le volte che sono passata di fronte a suddetto salottino (e ci passavo spesso perchè era di fronte al Bar Illy, che dava caffèaggratis) l’ho visto tristemente deserto…

L’Ufficio Stampa: menzione speciale all’addetta stampa all’ingresso. Mi ha fatto sentire come in Caro Diario quando scendono a Panarea e vengono accolti dalla Pierre bionda con l’erremoscia. Era identica…forse era proprio lei.

Il ristorante Inca-Maya-Perù: venerdi sera siamo capitati in una specie di tavola calda andina. Piatti a base di uova, patate e spezie non meglio idenificate, tovaglie rosse di plastica, murales ipercolorato e versione messicana di “Se mi lasci non vale”… Un’esperienza indimenticabile. Ho anche scoperto (sic!) che il loro dolce tipico è un creme caramel gigante!

La parola al critico: tutti mi chiedono “com’era la fiera?”. E come vuoi che sia, è sempre una fiera. Quindi cose belle e cose brutte. Qui accanto pubblico la foto di un quadro che mi ha colpito (nel senso che mi ha proprio dato un cazzotto in un occhio). Poi, fate voi…:-)

Covering’em: sabato sera siamo andati alla mostra Cover Theory, curata da Marco Senaldi e allestita in una centrale elettrica a Piacenza. Il posto era a dir poco incredibile e la mostra molto interessante, nonostante il fascino dell’edificio e dei macchinari offuscasse un po’ il resto. Dal reading di Tiziano Scarpa vi copio questa cover.

Smells like teen Spirit, Nirvana

Sono un ragazzo di cinquant’un anni,

Vivo con la mamma e il mio papà.

Ho molti libri editi da Vanni

Scheiwiller. Io, poeta di città.

Sono disoccupato, laureato

In storia dell’economia politica.

Stimo Raboni, destesto Battiato.

Di Pindaro amo la 2º Pitica…

… Per un sonetto su Sant’Agostino

Ho due bypass. Vivo con la pensione

Di mio papà. Possiedo un motorino.

Odore di plastica

Finalmente ho trovato una sala stampa con un collegamento a Internet. Sono dovuta entrare a Plast, la fiera della plastica. Perchè a Miart di un computer collegato manco l’ombra. I macchinari per la produzione di materie plastiche sono uno spettacolo, comunque. Miart è semideserta, fuori piove e il cellulare continua a squillare. Ora lo spengo e vado a prendermi l’ennesimo caffè al bar Illy.