Ancora un post per la Biennale di Venezia. Poi prometto che cambio argomento. Volevo segnalare le tre cose che mi sono piaciute di più. Non dei capolavori, ma rarissimi guizzi di ironia e intelligenza in una biennale soft e politically correct. Talmente composta da (quasi) far rimpiangere il caos di due anni fa. Organizzata, quasi sempre ben allestita, ariosa e rilassante. Pure troppo.
A svegliarci dal torpore, entrando nel padiglione tedesco, ci pensa Tino Seghal, che fa canticchiare (e ballare) ai custodi della sala una specie di mantra della contemporaneità: “This is so contemporary, contemporary, contemporary. Ohhhhhhh“. Nella sala successiva una conversazione sull’economia di mercato può farvi guadagnare metà del biglietto d’ingresso (3,75 euro). Il motivetto, che rimane in testa per giorni, è un buon antidoto alla malinconoia di ascendenza masiniana che potrebbe assalirvi durante la permanenza veneziana.
Un tifo da stadio si merita Francesco Vezzoli, che dopo qualche prova meno riuscita torna alla stragrande con il suo Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula, un trailer di un trash sublime, con un claim da oscar:
Beyond sensuality there is sexuality
Beyond sexuality there is perversity
Beyond perversity there is only…Caligula!
Ultima menzione per il cortometraggio Mondo Veneziano, del lussemburghese Antoine Prum. Bizzarro film sul sistema dell’arte contemporanea, girato in una Venezia completamente finta (un set), ancora più decadente di quella reale. Con la luna attaccata ad un filo come un enorme palloncino, le calli deserte e i canali prosciugati. I dialoghi sono solo citazioni astruse da saggi sull’arte contemporanea, inframmezzati da scene splatter alla Kill Bill.
Anche qui, una perla assoluta, ripresa da Jean Cocteau:
“In art there are no schools, only hospitals.”
Per il resto non mi pronuncio, ma Kill Bill è veramente un bel film, anzi 2 bei film.